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Storie di eccellenza

Santini: dietro a un grande ristorante c'è sempre un riuscito gioco di squadra

Ventun’anni, un viaggio di nozze, una Citroen Diane, una tenda e la Francia. Comincia così la storia di Antonio e Nadia Santini e quella del “Dal Pescatore”. Il loro ristorante è in Località Runate, un borgo di 35 anime a Canneto sull’ Oglio, in provincia di Mantova, rappresenta una pietra miliare della gastronomia, sia italiana che internazionale. Tre stelle dal novembre del 1995, sono in pratica vent’anni che la famiglia Santini continua ad essere un punto di riferimento della cucina di casa nostra, anzi, il punto di riferimento.

«Il segreto della nostra longevità? Sta proprio nella forza della famiglia. In realtà, infatti, la storia del nostro ristorante parte da molto più lontano, dal 1925, anno in cui i miei nonni aprirono una piccola osteria, lì dove oggi sorge il Pescatore. Quella del nostro ristorante, infatti, è proprio una storia di famiglia, quella dei miei nonni, appunto, dei miei genitori, mia e di Nadia, mia moglie, ed oggi dei nostri figli, Giovanni laureato in scienze e tecnologia alimentare, ed Alberto, laureato in Economia e sommelier di professione. Giovanni sposato con Valentina ci ha già regalato un nipotino, Lorenzo, chissà, forse la nostra quinta generazione. La nostra è una storia che ha attraversato gli anni e che ha trovato ciascuno di noi sempre pronto a dare continuità  ed innovazione all’impresa che avevamo costruito».

E questo com’è stato possibile?

Credo sia stato grazie all’aria che qui in famiglia si è sempre respirata. Ricordo che quando ero bambino mio padre mi portava sempre a mangiare fuori. Sono cresciuto tra i tavoli e le cucine di tantissimi ristoranti, oltre che del mio, e la mia scelta, nel ’74, è stata una scelta naturale. Allora studiavo Scienze Politiche, ero un sessantottino, e sono certo che se mio padre mi avesse chiesto di occuparmi del ristorante avrei reagito da rivoluzionario e forse oggi, riavvolgendo i fili della mia storia, ne racconterei una completamente diversa. Ed invece, dopo aver incontrato Nadia, dopo averne parlato con lei, abbiamo deciso che quella del ristorante sarebbe stata anche la nostra strada. Quel viaggio di nozze, quel giro in tenda, tra i ristoranti francesi, è stata solo la conferma di quanto non avessimo già scelto di fare. Poi sono arrivati anche Giovanni ed Alberto che, già oggi, rappresentano la continuità di quanto noi abbiamo già fatto. Questo cambio generazionale è fondamentale perché un’azienda non può progredire senza l’apporto dei giovani. Loro sono fondamentali perché rappresentano l’innovazione, rappresentano il futuro, ma un futuro che ha un forte ancoraggio al passato ed alle tradizioni. Se pensiamo anche ai nostri piatti, questi apparentemente sembrano identici a quelli di sempre, ma in realtà sono profondamente cambiati grazie a studi approfonditi sul tipo di pasta, sulla materia prima che viene utilizzata, sull’equilibrio alimentare dei prodotti.

Tre stelle, da vent’anni ad oggi, cosa rappresentano?

Ritengo che per funzionare nel tempo non bisogna mai prendersi troppo sul serio ed essere consapevoli che tutto può essere migliorato. Mi riferisco al fatto che tutti i risultati acquisiti appartengono al passato, mentre noi viviamo il presente e siamo proiettati al futuro. Ogni giorno aprendo la porta del ristorante ci si trova di fronte persone diverse, con esigenze differenti e che non sono quelle dei gourmet di dieci anni fa. Questo vale anche per l’ospitalità e per il servizio, non solo da quello della cucina. Per capirci, quelle stelle bisogna riguadagnarsele ogni giorno.

Quanto è cambiato in questi anni il mondo della gastronomia?

Tantissimo e soprattutto da noi. Ci sono indagini che testimoniano come, chi viene nel nostro paese, lo faccia prima di tutto per le nostre bellezze artistiche, per il nostro patrimonio culturale, ma, in Italia, si viene anche per l’ offerta gastronomica che è la più variegata al mondo. Ci si viene per la voglia di assaggiare i nostri sapori, la nostra cucina, i nostri prodotti. Questa attenzione dimostra una grande crescita di preparazione da parte della clientela. Per questo ci vuole personale sempre più attento, sempre più preparato e ci vuole una grande intuizione per comprendere cosa si aspetta il cliente, ricordando che ciascuno ha i suoi tempi, i suoi desideri, le sue passioni: per questo sarebbe importante riuscire ad intercettarne le motivazioni. Il cliente è il vero protagonista del ristorante e bisogna fare in modo che si senta a suo agio, che trovi tutto ciò che si aspetta di trovare. Ecco perché a volte anche noi ci sediamo al tavolo del nostro stesso ristorante vestendo i panni dell’ospite, provando a fare autocritica, in modo tale da comprendere cosa c’è che possa essere migliorato: mettersi dalla parte del cliente è fondamentale per capire come far bene le cose.

E la cucina, la cucina in cosa è cambiata?

Intanto voglio dire che a mio avviso è cambiata in meglio, si è adeguata ai tempi. C’è un’attenzione nei confronti delle materie prime che venti o trent’anni fa non era così forte. Oggi c’è la fortissima volontà di scegliere sempre il meglio, di scegliere prodotti sani, i più sani che si possa trovare sul mercato. Le capacità tecniche dei cuochi sono migliorate e permettono di andare verso un aspetto sempre più salutistico del cibo.

C’è attenzione su quanto possa far bene mangiare in un certo modo, calibrare il menù in base ad esigenze alimentari, fisiche e nutrizionali. In questo senso sono convinto che tanto sia cambiato e migliorato e tutto questo è sicuramente positivo. Il fatto che i riflettori in questo momento siano accesi sulla cucina ritengo sia un altro aspetto di positività, perché si crea ancor più attenzione verso il settore, si crea sensibilità ed eleva il grado di preparazione dei nostri interlocutori meno comuni. Il cuoco, lo chef è diventato il protagonista principale del ristorante. E’ in sala, racconta i suoi piatti, intrattiene relazioni con il cliente, insomma, comunica e spiega il proprio lavoro come in passato non si faceva.

Il vero rivoluzionario in tal senso è stato Paul Bocuse uno dei più grandi chef di tutti i tempi. Lui, in un’intervista a “Le Figaro” trent’anni fa parlò della necessita per il cuoco di andare in sala sia per raccontare se stesso ed i suoi piatti, ma soprattutto per ascoltare il cliente, perché ascoltando il cliente si possono comprendere tante cose anche nella costruzione dei piatti. Bocuse disse questo quando il cuoco non aveva assolutamente il ruolo da protagonista che ha oggi, quando era un comprimario dei grandissimi direttori di sala di allora. In un’intervista, del 2007, invece, lo stesso Bocuse ha ribadito, che forse oggi si sta esagerando nella direzione opposta e che in cucina, il cuoco, dovrebbe starci un po’ di più di quanto non faccia.

Bocuse è un personaggio straordinario, che io e mia moglie Nadia abbiamo avuto la fortuna di conoscere. Ha festeggiato da noi i suoi 50 anni di matrimonio, in un week-end ha pranzato e cenato per ben sei volte al Pescatore. Con lui si è creato un legame speciale, straordinario. E’ un maestro di virtù, prima di ogni altra cosa.

Cosa avete imparato da lui?

Ciò che era già insito nelle modo di fare della nostra famiglia. Abbiamo compreso che un ristorante funziona se tutte le parti che lo compongono funzionano all’unisono, La cucina è fondamentale, non c’è ristorante che funzioni senza uno chef che sappia il fatto suo. La cucina, sottolinea Michel Guerard, un altro grande chef, quando è buona, vale il 48% del ristorante, se non funziona il 100%; tuttavia l’accoglienza, il servizio, la sapienza nella scelta dei prodotti devono fare la loro parte, perché non è sufficiente mangiar bene per star bene.

Ed il prodotto, il piatto che rappresenta l’italianità?

Gioco in casa e dico la zucca. La zucca è un alimento formidabile che si può preparare in tanti modi, che si può usare sia in piatti dolci che salati. Ha un regime alimentare poco calorico ed è molto salutare. Della zucca si usa tutto, i semi hanno delle qualità straordinarie, è saporita come pochi altri alimenti e, non ultimo, rappresenta l’ingrediente principale di uno dei nostri piatti più famosi: il tortello di zucca, appunto.

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