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Spagnoli contro il riacquisto italiano di Bertolli & co: meglio il private equity

Il Governo e il settore oleario spagnolo si mobilitano per evitare che il gigante Deoleo finisca in mani italiane, o meglio sotto il controllo del Fondo strategico legato al Governo italiano. Preferirebbero che il nuovo proprietario fosse un investitore finanziario. Per la società olearia hanno depositato un’offerta (per ora non vincolante) sei pretendenti, tra cui i fondi di private equity Carlyle, CvC, Pai, Rhone Group e, appunto, il Fondo strategico italiano di Cassa depositi e prestiti. Il colosso americano Bunge sarebbe rientrato in partita dopo aver dichiarato il proprio disinteresse.

All’asta un pacchetto del 32%

Deoleo controlla ben cinque marchi di olio di oliva italiani tra i più conosciuti: Bertolli, Carapelli, Sasso, San Giorgio e Montolivo, oltre al marchio di olio di mais Maya. All’asta c’è un pacchetto di azioni del 32% di Deoleo, in mano alle malconce banche spagnole (ma anche Intesa, Ubi, Credit Agricole e Hsbc) a causa dell’alto indebitamento di Deoleo che oggi l’azienda sostiene di aver tagliato di 152 milioni a 472 milioni.

«Una delle prime condizioni poste per l’asta – sostiene Jaime Carbò Fernàndez, managing director di Deoleo – è quella dell’integrità del gruppo: a parte la strategia comune, che si è progressivamente rafforzata, le reti produttive e commerciali di Deoleo sono integrate e intrecciate. Poi gli investitori dovranno avere una prospettiva d’investimento di lungo periodo, 5 o 7 anni». Quindi niente spezzatino di asset e brand, secondo i venditori. Ma è proprio quello che temono in Italia, dove le strutture produttive hanno subito, negli ultimi anni, una dura cura dimagrante: dopo la chiusura del sito di Voghera, la Deoleo controlla due stabilimenti, uno a Inveruno (Milano) e l’altro a Tavarnelle (Firenze) con 285 addetti (di cui una sessantina in Cigs).

Bene tutti fuorchè l’Italia

Secondo il giornale El Pais,le ipotesi di cessione a fondi speculativi o al gruppo statunitense non sembrano destare grandi polemiche. Mentre l’ipotesi di un acquirente italiano crea molti mal di pancia, anche a livello governativo. La legge spagnola impone che, quando si pone in vendita un pacchetto di azioni superiore al 30%, scatti l’obbligo dell’Opa. E oggi Deoleo capitalizza mezzo miliardo di euro. Le banche valutano Deoleo da 8 a 10 volte l’Ebitda che nel 2013 è stato di 80 milioni su 813 di fatturato. Sommando il debito si arriva a quasi un miliardo.  Il prezzo è giusto? Negli ultimi anni è stato fatto «il lavoro sporco» dice Carbò Fernandez, riferendosi alla razionalizzazione produttiva e alla pulizia dei bilanci, con svalutazioni impressionanti.

«La società è globalizzata – conclude il top manager – con buoni trend di crescita sui nuovi mercati. Tuttavia ci vuole ancora del tempo e oggi dipendiamo ancora troppo da paesi maturi, come Italia e Spagna, e soprattutto dall’andamento delle stagioni e dai prezzi internazionali. Rimane un business per cuori forti».

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