Steven Spurrier è uno splendido settantenne. Un raffinato aristocratico inglese. È anche uno dei più grandi esperti di vino in circolazione. Firma di punta della rivista di culto Decanter. Mercante di vino nel cuore di Parigi negli anni Settanta, ha sdoganato nel paese enologicamente più conservatore i vini del nuovo mondo, con sense of humor tipicamente britannico. Il Judgement of Paris, la degustazione alla cieca di grandi vini francesi e californiani (Chardonnay e per i rossi Bordeaux e Cabernet Sauvignon Usa) ha segnato una svolta storica nel mondo del vino. Perché i nove migliori palati de la République (più un’americana e lo stesso Spurrier) hanno decretato in ogni categoria la vittoria delle etichette americane. Una superiorità mal digerita (i giornali francesi del tempo avevano oscurato la notizia) che si è ripetuta, puntuale, nelle due repliche del Judgement, una ancora a Parigi nel 1986, l’ultima nel 2006 in simultanea a Londra e Napa Valley a cui hanno partecipato anche alcuni degustatori della primo storico evento.
Spurrier ne ha riparlato ieri a Collisioni, il festival di libri, musica, cibo e vino che si svolge in questi giorni sulle colline di Barolo nel corso di un affollato incontro. E l’ultimo blind testing, ha ricordato, ha anche sconfessato chi sosteneva la scarsa longevità dei vini californiani.
Se dovesse ripetere oggi il Judgement quali vini contrapporrebbe ai veterani Bordeaux? Probabilmente vini cileni, argentini o sudafricani, ha detto. E ai produttori italiani che aveva di fronte ha dato due soli consigli. Valorizzare le diversità, la ricchezza e l’unicità dei vitigni, seppur cercando di far propria la regola aurea del marketing: pochi input chiari e significativi. Andare in giro per il mondo a promuovere prima di tutto il marchio Italia, poi tutto il resto. E soprattutto comunicare, comunicare, comunicare. Un vino di cui non si parla è come se non esistesse.
Di tutta la chiacchierata con Steven quel che più mi è rimasto impresso, però, è il racconto di come si è avvicinato al mondo del vino. Siamo nel Dorset, vigilia di Natale. Steven, 13enne porta i suoi primi pantaloni lunghi. Alla fine della cena il nonno dice al maggiordomo “give the boy a glass”. E Spurrier assaggia un Porto del 1908. Sarà colpo di fulmine: “Da allora ho cominciato a leggere tutto quello che potevo sul vino, anche se non mi era permesso bere e ne ho fatto il lavoro della vita”.
Tornato negli anni Ottanta a Londra continua ad essere il riferimento di produttori, appassionati e collezionisti. Ma è anche produttore, a breve usciranno le sue prime bottiglie di bollicine inglesi e sta per partire un nuovo progetto che potrebbe avere a che fare con l’Italia.
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