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Tossico e rischioso o neutro e sostenibile? Tutte le tesi a confronto…

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Tossico e rischioso o neutro e sostenibile? Tutte le tesi a confronto sull'olio di palma. E tu quanto ne sai? Quiz

Sostenibile o insostenibile? Non è solo questo il dilemma. E’ tossico? Cancerogeno? Causa diabete e obesità? La scienza non ha dati  sufficienti per condannarlo definitivamente. Così dopo anni di crociate salutiste, le posizioni sull’olio di palma  sono contrastanti: neutre, contrarie, perfino favorevoli. Confusi  e preoccupati gli abituali consumatori  – di merendine, snack, prodotti da forno, dolci, margarine, patatine, brodi e latte in polvere per i neonati –  al centro di un dibattito infuocato  sulla sicurezza alimentare. Che preoccupa anche  la politica. Proviamo a vederci chiaro. E mettetevi alla prova con il nostro QUIZ.

La produzione nella fascia equatoriale

L’olio di palma è  l’olio vegetale più utilizzato al mondo: nel 2014 ha rappresentato 60 dei 173 milioni di tonnellate di quelli prodotti nel globo. La palma da olio si coltiva in 17 Paesi della fascia equatoriale, due dei quali, Malesia ed Indonesia, rappresentano l’86% della produzione mondiale. Fornisce sussistenza economica a milioni di persone.  Rende più della colza, della soia, del girasole e dell’olio di oliva. Secondo il Malaysian Palm Oil Sector, entro il 220 la domanda di oli vegetali raddoppierà  da 120 a 240 milioni di tonnellate annue.

Deforestazione, cancellati milioni di ettari

Ma che ne sarà (visto cosa già ne è stato) della foresta tropicale? Della sua biodiversità e degli animali a rischio di estinzione? Negli ultimi dieci anni la coltivazione della palma da olio ha cancellato milioni di ettari di terreno. Spesso disboscati illegalmente. Sfruttato il lavoro degli indigeni.  L’Unione Europea, secondo uno studio pubblicato da Fern (Making the EU work for People and Forests) è  in cima alla classifica mondiale di importatori di prodotti all’origine della deforestazione (il 18% è olio di palma).

Italia, importazione record

L’Italia ne importa quantità record: lo scorso anno, come denunciato da Coldiretti, 1,6 miliardi di kg. E nonostante allarmi e spauracchi, dall’inizio del 2016 i quantitativi di olio di palma importati sono aumentati del 35%: “E’ un’invasione”. Il  21% viene impiegato dall’industria alimentare (il 79% nel  settore bioenergetico, da quello zootecnico, dall’oleochimico, dal cosmetico e dal farmaceutico). E non solo perché è più economico: ha sapore e fragranza neutri e prolunga la durata del prodotto. Dal 2014 in Europa  l’industria alimentare è tenuta  a specificare in etichetta la natura dell’olio utilizzato nei prodotti confezionati. Non è più valida la dicitura generica olio vegetale, facilmente confondibile con olio d’oliva.

Lo studio dell’Efsa

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha pubblicato qualche giorno fa uno studio che  evidenzia il rischio di tossicità dell’olio di palma, riducendo della metà la dose giornaliera ammissibile, a 0,8 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno. La ricerca ha preso in esame quelle sostanze genotossiche e cancerogene che si formano durante le lavorazioni alimentari, quando gli oli vegetali vengono raffinati ad alte temperature (circa 200° C):  i livelli più elevati sono stati riscontrati nell’olio e nei grassi di palma. E costituiscono un potenziale rischio per la salute, specie per i più giovani: “I ragazzi (fino a 18 anni) superano la Tdi, la dose giornaliera ammissibile”, avverte l’Efsa.  E  il problema riguarda anche i bebè: “L’esposizione ai GE –  i glicidil esteri degli acidi grassi – dei neonati che consumino esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte il livello considerato a basso rischio per la salute pubblica”, sottolinea  Helle Knutsen, presidente del gruppo Contam che ha eseguito lo studio.

Ministero della Salute, chiesto un esame urgente

In ogni caso, mancano i dati epidemiologici sulla correlazione tra il consumo di oli vegetali e lo sviluppo di tumori. Lo sottolinea anche il Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione. Nessuna raccomandazione, per il momento, dalla Commissione Europea, sollecitata però   dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin che  ha chiesto di “avviare con urgenza l’esame della questione al fine di valutare l’eventuale necessità di procedere all’adozione di misure finalizzate alla tutela della salute dei cittadini europei”.

I danni dell’acido palmitico sull’organismo

L’endocrinologo  Francesco Giorgino dell’Università di Bari non ha dubbi sugli effetti dannosi del palmitato (l’ acido grasso presente nell’olio di palma, ma anche nel burro e nell’olio di cocco). Nel suo studio condotto su cavie da laboratorio, in collaborazione con l’Università di Pisa e  di Padova (affiliate alla Società Italiana di Diabetologia), ha dimostrato il rapporto causale tra l’acido palmitico (la cui concentrazione resta invariata anche dopo i processi di idrogenazione) ed il danno delle cellule beta del pancreas che producono l’insulina.

Bizzarri, la quantità incrementa il rischio

“La dannosità di un alimento deve essere messa in relazione alla frequenza di consumo, alle quantità assolute ingerite, all’efficienza dei processi di metabolizzazione/detossificazione dell’organismo”, spiega l’oncologo Mariano Bizzarri, esperto di biochimica alla Sapienza di Roma. “L’olio di palma è potenzialmente più pericoloso dopo il raffinamento o  il trattamento industriale – continua -.  Sulla base di alcuni studi scientifici,  sia l’Organizzazione mondiale della Sanità sia il Center for Science in the Public Interest hanno evidenziato come il suo consumo aumenti significativamente il rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche. Queste evidenze sono particolarmente vere per l’olio di palma raffinato in cui sono state recentemente rinvenute sostanze tossiche.  Ma evidenziare la tossicità di un alimento è cosa diversa dal documentarne l’impatto sulla salute umana”.

L’Istituto Mario Negri raccomanda nuove ricerche

Una correlazione tra i componenti dell’olio di palma e le malattie cardiovascolari è stata documentata da uno studio dell’Istituto Mario Negri.  Se assunto in quantità eccessive, l’olio di palma (e l’acido palmitico)  comporta un aumento di colesterolo. Ma non fa più male di altri grassi che sono nella nostra dieta, come il burro. E’ un  fattore di rischio per la salute. “Nuove linee di ricerca sarebbero necessarie per studiare gli effetti dei nutrienti in combinazione tra loro all’interno dei singoli alimenti e del profilo dietetico generale, in modo da sviluppare strategie nutrizionali mirate ad una sana e corretta alimentazione”, si legge nella pubblicazione firmata dai ricercatori dell’istituto Elena Fattore e Roberto Fanelli.

Supermercati palm free

La Coop ha  bandito l’olio di palma dai suoi supermercati, eliminando 200 prodotti dagli scaffali. Esselunga,  Carrefour  e Pam hanno incrementato  quelli palm free. Molte aziende italiane hanno sostituito l’olio tropicale con altri grassi, a cominciare da  Alce Nera,  Colussi e Misura, Mulino Bianco, Paluani, Lazzaroni, Loacker, Pavesini, Galbusera. Altre aspettano dati più definitivi e intanto riducono le quantità.

Olio di palma sostenibile

Da circa un anno l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, formata da aziende e associazioni attive in vari settori merceologici, promuove  la sostenibilità dell’olio tropicale. Ne fanno parte Ferrero, Unilever Italy Holdings, Nestlè, Unigrà.  E’ sostenibile l’olio di palma che abbia origini conosciute e quindi tracciabili, prodotto senza convertire foreste e nel rispetto degli ecosistemi ad alto valore di conservazione. Quello non proveniente dalla conversione in piantagioni di aree sottoposte a incendi volontari,  che protegge i diritti dei lavoratori, delle popolazioni e delle comunità locali, rispettando il principio del consenso libero, preventivo e informato. Quello, infine, che promuove lo sviluppo dei piccoli produttori indipendenti .

Greenpeace e Wwf in difesa di foreste e comunità

La Roundtable on Sustainable Palm Oil, costituita nel 2004, con l’obiettivo di certificare il prodotto e  gestire le problematiche ambientali e sociali,  riunisce più di 2.400 membri tra produttori, aziende di beni di consumo, grande distribuzione e associazioni ambientaliste. Propone regole più severe per ridurre l’impatto della produzione dell’olio di palma, insieme al Palm Oil Innovation Group, impegnato in difesa delle foreste e delle comunità. Con Greenpeace, Wwf e Rainforest Action Network, il gruppo promuove  pratiche di sostenibilità sempre più rigorose. Nel 2014 sono state certificate a livello mondiale 11,6 milioni di tonnellate di olio di palma, pari al 18% della produzione, con ricadute positive sulle emissioni di gas serra, il trattamento dei rifiuti,  l’ uso di pesticidi, gli incidenti sul lavoro.

Tasse e avvertenze sulle confezioni

Il tema è tanto sensibile da attirare l’attenzione  della politica.  La proposta della  Francia  di una tassa di 300 euro a tonnellata sulla produzione di olio di palma  è stata respinta dal Senato (come già accaduto per la “Nutella tax”).  Ma il provvedimento francese ha ispirato in qualche modo tre senatori di Sinistra italiana  (Francesco Campanella, Loredana De Petris e Fabrizio Bocchino) che hanno presentato un disegno di legge per aumentare l’imposizione fiscale sui prodotti contenenti elevati livelli di acidi grassi saturi (in particolare, olio di palma),  zuccheri aggiunti e dolcificanti artificiali: dal 4 al 22%. L’intento è di scoraggiarne la produzione e il consumo,  per combattere l’obesità,  il sovrappeso e le patologie connesse. Il Movimento5stelle ha proposto emendamenti alla legge sugli sprechi alimentari chiedendo che sulle confezioni di prodotti con olio di palma venga impressa la stessa dicitura riportata sui pacchetti di sigarette: nuoce gravemente alla salute. Per loro l’olio di palma sostenibile è puro green-washing. Info su http://oliodipalmainsostenibile.it/.

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