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Vogliono il bio, leggono le etichette: i bambini influenzano gli acquisti e la Gdo corre ai ripari

Sono i bambini i nuovi “Food eVangelist”. Sempre più informati e sempre più giovani: sono i nostri bimbi a decidere gli acquisti alimentari già a partire dagli 8 anni. E’ quanto emerge da uno studio internazionale Food2020, condotto in 11 paesi tra Nord e Sud America, Asia ed Europa, Italia compresa su un campione di oltre 2mila individui, e firmato dall’agenzia di comunicazione Ketchum.

A livello globale, la metà (circa il 49%) dei genitori intervistati dichiara che i propri figli hanno un ruolo attivo nella scelta degli alimenti che la famiglia mette in tavola ogni giorno, mentre il 39% confessa che i propri figli leggono le etichette e il 38% evita gli alimenti con determinati ingredienti ritenuti poco salutari. Inoltre, un terzo afferma che i piccoli preferiscono gli alimenti biologici o di produzione locale e il 26% dichiara di stare alla larga dai cibi troppo elaborati. Percentuali che nel nostro Paese sono anche superiori, dove il 54% dei bambini ha un ruolo attivo nelle scelte alimentari della famiglia e il 40% esprime una preferenza per cibo locale e biologico, mentre il 37% inizia una conversazione sulla filiera e sulla sicurezza alimentare. “I dati confermano che i figli dei food eVangelist sono pronti a diventare gli influenzatori di domani –afferma Andrea Cornelli, ceo e vice president di Ketchum Italia. Un dato che le aziende non possono ignorare”.

I consumatori italiani sono i più affamati di informazioni

La ricerca, presentata questa mattina, mette in luce anche il nuovo ruolo dei Food eVangelist sempre meno “influencer” di nicchia e sempre più “mainstream”. Soltanto due anni fa erano una piccola ma potente comunità che voleva influenzare il mondo dell’alimentazione persino nelle modalità con cui il cibo veniva prodotto, confezionato e venduto. La  novità è che oggi invece stanno diventando sempre più la normalità nelle popolazioni di tutto il mondo. A livello globale, l’incidenza di questi “Evangelisti alimentari” è cresciuta del 10% e oggi rappresenta addirittura il 24% della popolazione. Italia e Argentina sono i paesi in “pole position” con un incremento numerico di rappresentanti più alto della media mondiale: sono passati dal 37% al 43% della popolazione in Italia e dal 29% al 33% in Argentina. Negli Stati Uniti, l’aumento è del 14% costituito da 45 milioni di persone e si prevede che passerà al 27% entro due anni.

Ma chi sono questi Food eVangelist? Tutti coloro che impegnano una buona parte della giornata in conversazioni reali o virtuali sul cibo. “Il loro desiderio – spiega Cornelli – è quello di influenzare le altre persone, anche se in realtà non professano un loro credo specifico. Piuttosto sono affamati di informazioni che traggono dalle fonti più diverse, amano ascoltare le opinioni degli altri per poi prendere le loro decisioni”.

Territorio e tracciabilità i nuovi paradigmi del mangiare sano

I Food eVangelist stanno ridefinendo anche i nuovi paradigmi del mangiare sano, dove acquistano sempre maggiore importanza la tracciabilità degli ingredienti, la territorialità, le modalità di produzione da parte delle aziende. Inoltre, il 60% ritiene che sia importante insegnare ai figli fin da piccoli il valore degli alimenti biologici.

Tra i risultati più rilevanti c’è la preferenza per gli alimenti prodotti e coltivati localmente. Infatti, quasi la metà degli intervistati (il 49%) a livello globale ripone più fiducia nei confronti dei rivenditori locali piuttosto che nei grandi supermercati e il 47% dichiara che gli alimenti dei piccoli produttori sono più sicuri dei grandi. Questi dati balzano rispettivamente al 66% e al 58% tra gli americani.

Affamati di tecnologia per risparmiare tempo negli acquisti, hanno invece poca fiducia per la spesa online quando si tratta di cibi freschi: in questo caso è sempre più diffuso il desiderio di avere un rapporto più diretto e personale con il rivenditore di prodotti alimentari (per il 50% degli intervistati).

I trend che l’industria alimentare deve seguire

Come reagisce l’industria alimentare a queste tendenze? Rivedendo sensibilmente le proprie “catene del valore”: molti brand famosi della grande distribuzione, per esempio, hanno annunciato cambiamenti nella formulazione dei prodotti e hanno reso più evidente la composizione e la tracciabilità degli ingredienti. “Tra i fattori che le persone ritengono più importanti nella comunicazione delle aziende alimentari – afferma Patrizia Martello, consumer culture consultant di Ketchum Italia e docente di Sociologia della Comunicazione presso NABA di Milano –, non a caso oggi troviamo trasparenza, chiarezza e onestà. Ma questo non basta. La fiducia non si costruisce con slogan e azioni di marketing. I consumatori chiedono coerenza, autenticità, vogliono sapere tutto su ciò che mangiano e non a caso si fidano più di amici e familiari che di medici e brand”. A cui sommare i diktat dei figli in fatto di alimenti da acquistare.

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