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La ricetta è brevettabile? Ecco i casi in cui può scattare la tutela

Esiste una forma di tutela per preservare la creatività di uno chef? Sulle ricette si può far valere il diritto d’autore? Un tema molto discusso negli ultimi anni nel panorama gastronomico – ce n’eravamo occupati anche noi lo scorso anno – e che finora non aveva trovato una risposta certa.
Ora un libro edito nella collana Alma-Plan affronta il tema della tutela della creatività in cucina, offrendo a chef e foodblogger gli strumenti per capire come il proprio lavoro possa essere considerato a tutti gli effetti un’opera creativa e quindi protetta da imitazioni.
Gli autori Carmine Coviello e Davide Mondin, avvocati e docenti Alma, dopo tre anni di ricerche hanno provato a fare chiarezza su questa questione complessa e ancora inesplorata con il volume “Food Law: la tutela della creatività in cucina” (pagg. 224, euro 27). Lo chef Davide Scabin, del ristorante “Combal.Zero”, che ha fatto della creatività e della ricerca un tratto distintivo della propria cucina, firma invece la prefazione, visto che all’interno si prende spunto proprio da due case history legate a suoi piatti storici.

Quando una ricetta è degna di tutela

“Per prima cosa – chiarisce Carmine Coviello, specializzato nel settore delle arti, della musica e dello spettacolo – bisogna trovare quali siano gli elementi che facciano di un piatto un’opera creativa”. Ovvero, ci deve essere un apporto personale da parte dell’autore, in modo che l’opera gastronomica rappresenti un progresso rispetto al sapere esistente. “La creatività – prosegue – si può manifestare nell’utilizzo di ingredienti mai considerati in precedenza oppure già noti ma associati in modo inedito, nell’originalità della struttura fisica o dell’aspetto del piatto o del prodotto e nel suo nome”. Quindi, se la creazione gastronomica si configura come creativa, allora può essere tutelata anche sotto il profilo legale. La tutela può riguardare innanzitutto la “ricetta”, intesa come astratta spiegazione di come ottenere un piatto o un prodotto. Al pari, quindi, di un’opera letteraria o musicale, se sotto forma di testo scritto, file, video ecc. e se possiede determinate caratteristiche in termini di originalità espressiva, a prescindere dalla novità delle informazioni gastronomiche contenute. “L’arte culinaria, anzi – sottolinea – è forse la più completa tra le arti, perché coinvolge i cinque sensi: gusto, olfatto, vista, tatto e anche udito. Un’arte che si consuma. Le prime tracce di questo diritto alla tutela si trovano addirittura in un codice del terzo secolo dopo Cristo, conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia, in cui si diceva chiaramente che un cuoco che inventava una ricetta aveva diritto a goderne della paternità per circa due anni. Fino ad arrivare alla più recente sentenza del Tribunale di Milano, la 9763 del 10 luglio 2013, che condannava l’autore di un libro per aver copiato alcune ricette da un blog”.

Il piatto come opera di design

Ci sono poi altre forme di tutela, come il brevetto. Utilizzato, però, per prodotti riproducibili industrialmente. Un esempio celebre sono le ‘Marille’ di Giorgetto Giugiaro per Voiello, depositate nel 1983. O quelle per depositare le ricette segrete (bibite o certi amari) che devono rispondere a precisi requisiti e procedure. Infine, c’è anche il problema del piatto inteso come opera di design, dove non è la ricetta in sé a essere considerata, ma la composizione finale. “In questo caso – conclude Coviello – si deve far ricorso al codice della proprietà industriale”.

Ma le forme di tutela della creazione gastronomica non rappresentano un ostacolo alla libera circolazione della creatività? “Sicuramente – risponde Davide Mondin, specialista in valorizzazione del patrimonio alimentare e gastronomico e in denominazioni alimentari – c’è una tradizione gastronomica che è e deve rimanere patrimonio della collettività. Accanto a questa, però, esistono prodotti ascrivibili al genio di singoli operatori. Non dobbiamo infatti dimenticare che ristoranti, bar e pasticcerie sono a tutti gli effetti imprese e, come tali, è legittimo che aspirino a sfruttare in modo privilegiato ciò che nel loro ambito è stato concepito, spesso dopo anni di ricerca e impegno. La difesa delle idee originali, insomma, va intesa come stimolo alla creatività: un conto è rifarsi all’opera geniale di qualcuno prendendone ispirazione e aggiungendo poi il proprio apporto personale, altra cosa è invece limitarsi a copiarla in modo parassitario. Ferma restando, tuttavia, la possibilità per chi abbia subito la ‘copiatura’ di tollerarla se non, addirittura, di considerarla una attestazione di stima”.

Un registro di ricette internazionale

“La libertà sta nella tutela – aggiunge Coviello -. Non come punto di arrivo, ma di partenza da cui poter andare a riscoprire, reinventare e modificare le ricette in un gioco creativo infinito, apportando modifiche e innovazioni. Fino ad arrivare, pensavamo, a un grande registro di ricette internazionale, che possa raccogliere le tradizioni di tutto il mondo e contribuire alla crescita e allo sviluppo della cucina nel globo”.

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