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Joško Gravner: «Così torno all’essenziale»

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Storie di eccellenza

Joško Gravner: «Così torno all’essenziale»

Joško Gravner
Joško Gravner

L'eccellenza richiede pazienza, passione, precisione. È su questi pilastri che Joško Gravner ha costruito la storia dei suoi vini negli ultimi 15 anni e in questo percorso si innesta il nuovo Pinot Grigio Riserva 2006, presentato in queste settimane sul mercato dopo una lunga attesa.
Frutto di una selezione di uve del vigneto Njiva, fermentate in purezza con lunga macerazione in anfore georgiane interrate con lieviti indigeni e senza controllo della temperatura, dopo la svinatura e la torchiatura il vino è tornato per altri 5 mesi in anfora, per poi affinare 6 anni in grandi botti di Rovere e venire imbottigliato con luna calante nel 2013 senza alcuna chiarifica o filtrazione. Dopo tre anni di ulteriore affinamento in bottiglia, il Pinot Grigio Riserva 2006 esce dalla cantina «nel pieno della maturità», per dirla con Gravner che, con l'affetto di un padre, accompagna i propri vini dalla gestazione fino al compimento dell'adolescenza.
Un vino intenso, pervasivo, speziato e rotondo. Un grande vino, che vive solo nel presente. Perché nel 2011 Gravner ha scelto di abbandonare il Pinot Grigio, definitivamente.

L'ultimo ciclo del Pinot Grigio

Il Pinot Grigio Riserva 2006 è un vino in purezza realizzato in edizione limitata - solo 1500 bottiglie – che chiude un cerchio nella storia di Gravner.
La scelta di proporre il vino come riserva è infatti legata all'evoluzione recente del vigneto Njiva, dal quale provengono le ultime vendemmie di questo vitigno. Al Pinot Grigio 2006, infatti, seguiranno solo il 2007, 2009 e 2011, perché poi il vigneto sulle colline di confine è stato espiantato per far posto alla Ribolla, l'unico vitigno bianco che dal 2011 ad oggi l'azienda di Oslavia ha scelto come identitario.

Joško Gravner ha scelto dunque nel 2011 di iniziare un “nuovo racconto”, coltivando unicamente uve Ribolla e Pignolo. «La storia della nostra azienda – spiega – è racchiusa in una serie di eventi che sono come cerchi nella nostra vita di viticoltori. Tutti eventi importanti e necessari. Dai grandi successi con i vitigni internazionali degli anni Ottanta e Novanta, fino alla grandinata del 1996 che ha segnato le nostre viti, costringendoci a riconsiderare il nostro modo di fare vino. L'ultimo Pinot Grigio è per noi molto importante perché scrive l'inizio del prossimo cerchio».

La terra e il legno: ritorno all'essenziale

Nel 2001 Joško Gravner ha scelto di riportare i propri vini all'essenzialità.
«Ci sono solo tre elementi che possono accogliere il vino: la terra, il legno, il vetro» – afferma con una solennità che ne farebbe un mago del marketing, se non fosse che quando si scende nella sua cantina si percepisce un autentico processo di sottrazione.
Ha sottratto dalla vigna la chimica, lasciando crescere olivi, cipressi, meli selvatici, ornielli, sorbi e lasciano spazio agli stagni. Ha eliminato progressivamente i macchinari dalla cantina. Ha nascosto le anfore dentro la terra, per lasciare alla natura il controllo di temperatura e umidità. E dal 2001 ha smesso di verificare il grado zuccherino del vino, perché «comunque non lo modifichiamo, tanto vale non perder tempo a controllarlo».

Ha sottratto la fretta dalla vendemmia, che inizia tra ottobre e novembre (il più tardi possibile) ed è quasi un'operazione chirurgica. Sulle viti di Ribolla – allevate ad alberello in fila o a ventaglio, su consiglio di Marco Simonit e Pierpaolo Sirch – i grappoli diradati vengono controllati uno per uno, perché poi finiscono in anfora con bucce e raspi.
Poi inizia il tempo dell'attesa. Un anno nella terracotta interrata, sei anni nelle botti di Rovere. «Sette anni sono un ciclo vitale per i nostri corpi, ma anche per il vino», sentenzia Gravner.

Consacrati all’uso di tecniche antiche

Viene da chiedersi chi glielo fa fare. «Io faccio il vino prima di tutto per me e per la mia famiglia - risponde -. E non potrei offrire agli altri un vino che non bevo anche io. Ci ho messo trent'anni per arrivare fin qui. Trent'anni di fatiche, di errori, di esperienze. Quando ho capito che l'acqua pulita è alla sorgente e non alla foce, ho deciso che il mio vino doveva essere un fatto di natura».
Joško Gravner, la moglie e le figlie scelgono anno dopo anno di non seguire le mode. Non giocano sulla gradazione, non applicano disciplinari mirati alle certificazioni, non rincorrono le nuove passioni per i vini Orange.
L'unica cosa che Gravner dichiara è l'uso di tecniche antiche. «È così semplice, è vino», dice sorridendo. Ed è un vino che accarezza la memoria, che invita a scoprire le sfumature dei sapori.
Un vino che oggi per il 55% della produzione è ancora distribuito in Italia - «il mercato migliore per la qualità», rimarca con un certo orgoglio - e che raggiunge, con numeri mai enormi, l'Europa e il Nord America, Brasile e Cile, la Nuova Zelanda.

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