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Tutte le facce della pizza (e gli indirizzi da non perdere)

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Storie di eccellenza

Tutte le facce della pizza (e gli indirizzi da non perdere)

Pizza batte hamburger 3 a 1. Nell'oceano del Web la parola pizza ricorre in 333 milioni di pagine mentre il termine hamburger in 106 milioni: la scoperta l'ha fatta Tullio De Mauro, uno dei curatori del libro ancora fresco di stampa: “Pizza. Una grande tradizione italiana”, edito da Slow Food (352 pagine, 22 euro). Non l'ennesimo libro sulla pizza, ma un vero e proprio sussidiario sul tema.
La pizza è “il miglior oggetto di design del pianeta” ha osservato il creativo Oliviero Toscani mentre l'antropologo Marino Niola ha ricordato che “una volta era il pronto soccorso dello stomaco…per saziare la fame del popolo napoletano”.
Curato da Antonio Puzzi, il libro si avvale dei contributi di Tullio De Mauro, Marino Niola, Ettore Guerrera, Antonio e Donatella Mattozzi, Luciano Pignataro e Monica Piscitelli. Il risultato è un volume – con belle immagini e una grafica che rende piacevole la lettura – che spazia dalla linguistica all'antropologia, dalla storia alla geografia della pizza oggi nel mondo. Tanti gli spunti e gli approfondimenti come “gli stili della pizza”, le ricette e le materie prime.
La filosofia di Slow food
Un lavoro corale, realizzato con il supporto di Ferrarelle, che dà voce ai pizzaioli e alla loro arte oggi candidata a patrimonio immateriale dell'umanità. La filosofia di Slow food orienta le scelte delle pizzerie e dei protagonisti raccontati nel libro. Sono uomini e donne custodi di tradizioni e biodiversità, esempi di un italian style virtuoso: dieci maestri indiscussi e altre sedici storie e indirizzi.
A tutti loro Slow Food ha assegnato il titolo di “Ambasciatori della pizza nel mondo”. I maestri sono Enzo Coccia, “il primo protagonista del terzo millennio della pizza”; Gino Sorbillo che con verve naviga tra nuovi media e recupero delle antiche memorie di famiglia; i fratelli Francesco e Salvatore Salvo “per il loro impegno a sostegno dei produttori di piccola scala”; Franco Pepe che ancora impasta a mano nella madia di legno nella sua antica Caiazzo; Ciro Salvo per il suo impasto ad alta idratazione e il successo di 50 Kalò e poi altri come Stefano Callegari a Roma, Walter Picariello a Torino, Patrick Ricci a San Mauro Torinese, Renato Bosco, Simone Padoan. Il cuore del libro sono “sedici storie di pizza” ovvero volti, forni e ricette.
Patrimonio dell'umanità
Le ultime cento pagine del libro sono una “Guida alle pizzerie” in Italia e nel mondo, ciascuna raccontata in una breve scheda, “perché – come scrive Michele Pontecorvo, contitolare di Ferrarelle – la pizza è patrimonio dell'umanità, è patrimonio delle nostre famiglie, delle nostre tavole, dei nostri sabato sera”.
Peccato però che la pizza nel mondo non sia sempre identificata come uno dei simboli del made in Italy: l'operazione è riuscita a varie catene globali, a iniziare dall'americana Pizza Hut. Quelle italiane solo recentemente hanno puntato sull'estero: come Rossopomodoro, Eataly o come Antonio Starita che detiene partecipazioni di minoranza in società operanti a New York ed Atlanta.
Ora però è anche il momento di puntare sempre più sulla qualità della pizza napoletana e resistere alle tentazioni, come quella proposta a Starita. “Una società giapponese – racconta il pizzaiolo di via Materdei – aveva chiesto di mettere la mia faccia sulle sue pizze congelate. Ho rinviato la proposta al mittente nonostante qualcuno mi abbia dato delle sciocco: come si fa a rifiutare una proposta così allettante?”.
Tornando al libro di Slow Food, un unico neo: a pagina 43 si critica un servizio realizzato dalla trasmissione televisiva Report su alcune cattive abitudini delle pizzerie italiane. Corrette o false che fossero le conclusioni, sta di fatto che la pizza napoletana per primeggiare nel mondo deve garantire procedure di lavorazione e cottura corrette e la massima qualità delle materie prime: l'unica strada per distinguersi da Pizza Hut e gli altri

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