I vini toscani continuano la marcia sui mercati esteri, ma con una novità sostanziale rispetto al passato. Il +3% messo a segno nel 2017, che porta il valore dell'export a 945 milioni di euro, non solo è inferiore alla media nazionale (+6,5% secondo le stime Nomisma Wine Monitor), ma – per la prima volta – non è trainato dai vini rossi Dop, cioè dalle produzioni tipiche e più famose della Toscana.
«L'export di rossi Dop toscani, che pesano per circa il 60% sul totale delle esportazioni regionali, nel 2017 non cresce - spiega Denis Pantini di Nomisma Wine Monitor - restando praticamente al palo con -0,1% a valori e -2,3% a volumi nei primi 10 mesi». A deludere sono soprattutto i due mercati-traino dei rossi Dop toscani: gli Stati Uniti (che assorbono più del 33%) segnano -4,9% e la Germania (con un peso di circa il 15%) che cala del -5,8%.
La frenata dei Rossi
Se i rossi Dop stentano, il +3% dell'export regionale è dunque da ricondurre ai cosiddetti ‘Supertuscan' (i vini prodotti al di fuori delle denominazioni), agli Igt e ai vini bianchi che, seppure pesino poco (i bianchi Dop rappresentano il 3% dell'export toscano), segnano +15% a conferma di un trend che in questo momento penalizza i tradizionali rossi.
Ma se i vini rossi non corrono più, non è solo questione di gusto. «Noi oggi lavoriamo in un mondo globalizzato - spiega Giovanni Busi, presidente del consorzio del vino Chianti, la denominazione più grande d'Italia per i vini rossi fermi, che nel 2017 ha aumentato le vendite del 5% tornando sui 95 milioni di bottiglie - e quello che si globalizza è soprattutto il prezzo. Non è vero che i rossi non vanno più, è vero che noi abbiamo costi di produzione più alti degli altri Paesi; abbiamo un sistema burocratico che incide sul prezzo per il 10-15% imponendo cose che non servono a nessuno, né al mercato né alla produzione né a chi deve controllare; abbiamo alti costi della manodopera. E poi abbiamo uno Stato che non ci aiuta con gli accordi commerciali, come invece ha fatto ad esempio l'Australia con la Cina».
Aumento dei costi aziendali
Sul fronte prezzi, peraltro, la vendemmia 2017 ha peggiorato le cose vista la scarsità produttiva (-40% in Toscana, uno dei risultati peggiori d'Italia) che ha causato un aumento dei costi aziendali destinato a trasferirsi sui listini. Gli incrementi di prezzo, tra il 10 e il 15%, si stanno toccando con mano in questi giorni, in occasione delle “Anteprime” dei vini toscani che i Consorzi vinicoli organizzano per presentare (a stampa e buyer, ma in molti casi ormai anche al pubblico) le annate pronte ad andare in commercio: si è cominciato sabato 10 febbraio con l'anteprima collettiva regionale dei consorzi “minori”, per poi proseguire col Chianti (domenica 11); Chianti Classico (lunedì 12 e martedì 13); Vernaccia di San Gimignano (mercoledì 14); Nobile di Montepulciano (giovedì 15); Brunello di Montalcino (venerdì 16 e sabato 17).
«I nuovi listini saranno influenzati inevitabilmente dall'andamento della vendemmia, che per il Chianti Classico ha segnato -27% - spiega il presidente del consorzio, Sergio Zingarelli, che ha chiuso il 2017 con 37 milioni di bottiglie vendute, in leggero calo rispetto all'anno precedente - le ripercussioni sui costi aziendali si fanno sentire su tutte le aziende, anche su quelle che non comprano il vino sfuso». Gli incrementi varieranno a seconda dei casi, anche se va detto - come segnala Nomisma Wine Monitor - che i prezzi medi all'export dei rossi toscani Dop (6,33 euro) sono ancora assai inferiori a quelli del Piemonte (9,13 euro) e, soprattutto, a quelli dei rossi Dop della regione di Bordeaux (9,85 euro).
Rischio dazi in Usa e Euro forte
I prezzi, comunque, non rappresentato l'unico elemento di incertezza del mercato nel 2018. Gli altri due timori che aleggiano sul vino toscano sono i dazi che potrebbero spuntare negli Stati Uniti e il rafforzamento dell'euro. «Più che le politiche protezionistiche di Trump - dice Zingarelli - mi preoccupa l'apprezzamento dell'euro, che è arrivato a quota 1,24. I timori li abbiamo tutti, ma va detto che l'anno è partito in linea col 2017 e speriamo di rimanere su questi livelli».
Anche se, a questo punto e visti gli elementi di incertezza, sono in molti a ritenere che serva un cambio di passo. «Dobbiamo reagire - ammonisce Busi del consorzio Chianti - e il modo per farlo è creare una regìa per la promozione dei territori vinicoli, che deve avere un coordinamento nazionale. Le piccole e medie aziende italiane non possono pensare di andare da sole sui mercati stranieri. L'Italia deve presentarsi unita, con i suoi grandi territori, e questo può diventare la nostra forza: noi non potremo mai competere con i grandi gruppi mondiali del vino in termini di dimensioni, ma abbiamo una forza che altri non hanno, il territorio, e dobbiamo valorizzarlo».
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