Un matriarca che adorava la buona tavola e la sperimentare in cucina, ma non ammetteva critiche alla sua arte culinaria. Questo era nell'intimità della famiglia il grande Ugo Tognazzi, attraverso gli occhi del figlio Ricky che ne ha parlato in occasione della presentazione del video “Il quinto elemento. Made in Italy”. Una visione inedita e davvero “gustosa” del grande attore, che Tognazzi ha voluto condividere anche con i lettori di Food24.
Mentre mia madre mi attaccava al seno, mio padre di là spadellava. Faceva un soffritto e io ne sentivo già l'odore. Mia madre si lamentava e lui diceva: “Sono invidioso della tetta materna, non lo posso allattare, così io lo allatterò cucinando per lui”. E così ha cresciuto i suoi figli, perché mio padre non era un patriarca, era un matriarca: ci ha allattato. Sì, ci ha allattato a pane, cinema e fantasia. La sua frase storica era: “Nelle mie vene non scorre sangue, scorre succo di pomodoro”. Spesso - giuro, è la verità - nella casa vecchia di Velletri, lo trovavo, alla mattina presto verso le sette, inginocchiato davanti alla cappella di famiglia: il frigorifero. Non era un frigorifero normale, il frigone bianco consunto degli anni Sessanta.
Era proprio un frigorifero, quello da ristorante, perché lui amava fare le cose in grande. E lo trovavo lì, a meditare di fronte a culatelli, parti di manzo, di bue, verze eccetera e io pensavo che fosse impazzito. In realtà si stava concentrando per il menù del week end per i suoi amici. Era un uomo curioso, stravagante. Naturalmente viaggiava moltissimo, soprattutto per lavoro, e quando tornava a casa noi tutti lo aspettavamo, ansiosi di ricevere i regali e ci portava delle bellissime sorprese. E tutti lì ad aspettare. Per esempio, tornò dalla Norvegia con delle bistecche di balena, dalla Spagna con i testicoli di toro, poi le cotolette di rinoceronte dall'Africa… Una volta preparò dei ravioli con i semi di papavero. Il risultato: gli ospiti tutti stesi a dormire sul divano.
Era uno sperimentatore, per lui la cucina era un palcoscenico nel quale esibirsi come a teatro.
Facendo tanto cinema, gli era venuto a mancare il contatto diretto col pubblico, quindi aveva istituito questi appuntamenti, che chiamava “Le ultime cene”, perché era lui con dodici amici - di solito Monicelli, Ferreri, Gassman eccetera - e pretendeva da loro un giudizio, un giudizio severo, e gli faceva scrivere su un foglietto, assolutamente anonimo, un giudizio sul piatto.
Si partiva da ottimo, poi c'era buono, poi mangiabile, poi c'era cagata, grande cagata e grandissima cagata. Una volta, dopo una pasta e fagioli, trovò un biglietto - anonimo, naturalmente - con su scritto “grandissima cagata”. Prese il biglietto, guardò tutti i commensali e se ne andò a letto. Il giorno dopo andò da un grafologo per scoprire che il colpevole era Paolo Villaggio. Non lo salutò per un anno. Insomma, si poteva scherzare con papà di tutto, di cinema, delle sue interpretazioni, ma non di cucina, non di pasta e fagioli soprattutto!
Anche gli chef hanno i periodi, come i pittori. Per Ugo, invece, coincidevano con la donna di cui era innamorato. I sui menù erano internazionali come i sui amori: periodo spagnolo, francese, inglese - eccomi qui, sono nato io -, poi norvegese, che appartiene sempre al periodo delle bistecche, quelle di balena che portava dalla Norvegia, ed è arrivato Thomas. Poi quello romano, con trippa e coda alla vaccinara, è arrivato Gianmarco, e poi, innamorato del mare, è arrivata Maria Sole.
Il cibo, oltre a essere strumento di seduzione, spesso è anche afrodisiaco e non serve essere ricchi e mangiare il caviale o il tartufo. Basta un po' di peperoncino, un po' di fantasia e, naturalmente, un po' di ottimismo. Infatti papà diceva sempre: “Quando portate una donna al ristorante, anche se siete al verde, siate sempre ottimisti. Ordinate molte ostriche, che sono notoriamente afrodisiache, e vedrete che pagherete il conto con la perla che ci trovate dentro”. Le tre passioni - cinema, cibo e quella roba lì - spesso coincidevano e stimolavano la sua creatività, e così preparava il pranzo per la troupe. Diceva: “I cestini buttateli nel cestino”. I cestini sono quelle scatolette orribili con il pranzo al sacco. Infatti, lui si metteva a far da mangiare per tutti i suoi amici e tutti i tecnici, facendo farfalle fucsia alla barbabietola, oppure risotto estivo prosciutto e melone. Sempre secondo la sua creatività. Quando fece “La grande bouffe” - un film straordinario di Marco Ferreri, che raccontava la crisi del consumismo, l'abbondanza -, la sceneggiatura era di fatto il menù del giorno, che arrivava da vari negozi. Arrivavano materie prime dall'Italia oppure dai negozi francesi, e lui personalmente cucinava i piatti di scena. Mastroianni diceva che i profumi del suo cibo lo inebriavano più di una donna.
Insomma: cibo, cinema, sono legati a doppio filo e anche nella vita sentimentale di ognuno di noi. Infatti, il primo appuntamento dove lo dai? O lo dai al cinema, o lo dai al ristorante. Oppure - meglio ancora - lo dai a casa tua, prepari un buon manicaretto e poi ti vedi un bel film davanti alla televisione, poi da cosa nasce cosa e insomma, se succede, succede. Non è sempre detto che succeda.
Una ricerca americana - questo è vero - afferma che se vedi un film triste, dove magari il protagonista muore, ti viene più fame. Hanno fatto questa ricerca per vendere i pop-corn. Invece in Italia, in realtà, non funziona così, perché in Italia andiamo a mangiare comunque. Gli italiani mangiano anche dopo una commedia, un dramma, che gliene frega. La pizza, per esempio, è un classico del dopo cinema e non è un caso, forse, che i rulli di pellicola una volta - ormai non ci sono più - si chiamassero pizze. Così, come ci ricordiamo il sapore di un buon piatto, ci ricordiamo le scene di un bel film, che spesso sono ambientate a tavola. Perché appunto, il cinema è vita. Pensate che uno dei primi film dei fratelli Lumière, che sono quelli che hanno inventato il cinema, si chiamava proprio “Le repas de bébé”, che sembra un po' la pubblicità del Plasmon, se vi ricordate. E poi chi non ricorda l'Alberto nazionale di “Un americano a Roma”, quando: “Maccherone, tu m'hai provocato e io me te magno!” Oppure Totò in “Miseria e nobiltà”, dove c'era Totò che si metteva gli spaghetti in tasca. Eravamo nel dopo guerra, si raccontava la fame. Poi, naturalmente, è arrivata l'abbondanza e i film si sono adeguati ad altre tematiche: “Il pranzo di Babette”, il meraviglioso racconto di un pranzo luculliano straordinario, vinse l'Oscar. Poi arrivò “Chocolat”, che fece vincere alla bellissima Binoche un Golden Globe. E poi “9 settimane e mezzo”, ve lo ricordate? Quello con Kim Basinger che faceva quel balletto, si mangiava le fragole davanti al frigorifero e Mickey Rourke che la guardava? Insomma, era forte, era bello. Tra l'altro era doppiato da mia moglie e mi ha conquistato così… m'ha fregato subito. Anche se dopo me lo sono ritrovato, diciamo, senza fragole, senza frigorifero… E poi, naturalmente, la famosa Sachertorte del buon Moretti, il suo barattolone di Nutella: “Continuiamo così, a farci del male”.
Questo video è incentrato, però, sul quinto elemento. Mentre gli altri quattro elementi sono universali, il quinto elemento è un'attitudine soprattutto nostra, di noi italiani: è la nostra creatività, la capacità di trasformare le materie prime in un prodotto unico, invidiato in tutto il mondo. Noi abbiamo la fortuna di vivere in un paradiso terrestre: l'Italia, luogo famoso per la sua bellezza, per il suo clima, per l'arte che custodisce, per il cibo inimitabile. Soprattutto oggi, che viviamo in un mondo globalizzato e che abbiamo la necessità di produrre con logiche industriali, noi continuiamo a produrre a modo nostro, con l'eccellenza che ci contraddistingue”.
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