Nel mondo dei distillati, e del gin in particolare, Jared Brown è un Muhammad Ali. Un peso massimo insomma, e di classe assoluta bisogna aggiungere. Questo cittadino britannico dalla lunga
chioma argentata nella vita ha fatto un po' di tutto: l'indossatore di biancheria intima, il barman in posti esclusivi, il
distillatore casalingo in erba all'età di dieci anni, l'assaggiatore professionale per gin celebri come il Beefeater 24 e
lo scrittore, insieme alla moglie Anistatia Miller, di una serie di libri di successo a partire dai due, per qualsiasi barman,
fondamentali volumi intitolati “Viaggio di spirito. La storia del bere”. Avere l'occasione di incontrarlo da vicino è insomma un'occasione da non perdere. E dunque eccoci anche noi nel locale sotterraneo
di Prima Comfort Food & Bar di via Casale a Milano, in piena zona Navigli, per una sua masterclass dedicata al Sipsmith Gin, importato e distribuito in Italia da Onesti Group. Di SipsmithJared Brown è cofondatore e master distiller.
«Abbiamo iniziato con due soci nel 2009. In un piccolo garage che un tempo ospitava un microbirrificio e, in un secondo tempo,
lo studio del giornalista e scrittore Michael Jackson, la più nota firma nel mondo del whisky e della birra. Un alambicco
da trecento litri per un singolo batch. La nostra è stata la prima microdistilleria ad aprire i battenti dopo duecento anni
di vuoto».
- Che cosa distingue il Sipsmith dagli altri gin?
«Il Sipsmith è un London Dry nel senso classico e storico del termine, Il frutto di una lunga ricerca tra le ricette dei gin
londinesi di un tempo, quelli tra il 1600 e il 1860 tanto per intenderci. Prima della Rivoluzione Industriale, che ha cambiato
il modo di fare il gin».
- Oggi però ci sono migliaia di etichette di gin nel mondo, pure in Italia se ne contano centinaia. Non è che questa bolla
rischia di scoppiare prima o poi?
«Indubbiamente di gin ormai se ne fanno un numero impressionante. Ma non credo allo scoppio della bolla, piuttosto a un ridimensionamento
nel senso che i numeri caleranno. Resteranno però in piedi i migliori classici London Dry e quei gin che, diversamente, sapranno
essere le migliori espressioni di un territorio e delle sue botaniche tipiche».
- Il fenomeno gin ha contribuito al revival dei cocktail e dei cocktail bar?
«Direi di sì e in modo decisivo. Ma non è tanto o solo la moltiplicazione dei gin e il deciso innalzamento qualitativo della
produzione di questi ultimi anni. È soprattutto un superiore spessore culturale che si registra tra i barman».
- Quanto della sua capacità di master distiller è dovuta al fatto di essere anche un ricercatore e uno storico dei distillati?
«Parecchio, ma credo che molto lo si debba anche agli anni trascorsi come chef nei ristoranti di New York. Hanno affinato
le mie capacità di riconoscere e saper scegliere aromi e ingredienti. Un bravo distillatore di gin ha diverse cose in comune
con uno chef».
- Avrà comunque un gin cocktail preferito…
«(Ride). Beh, il Ramos Gin Fizz… prima di colazione».
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