NEW YORK – Gli Stati Uniti hanno tagliato le imposte ai piccoli produttori di vino. Una decisione che favorisce il made in Italy costituito per il 90-95% da aziende medio-piccole. La norma è contenuta nel Tax Modernization Act, il provvedimento entrato in vigore nel gennaio 2018 che ha ridotto le imposte societarie dal 35% al 21%. Un capitolo della normativa prevede il taglio delle Exice Tax, le accise che si pagano sugli alcolici. Ogni Stato americano ha le sue. Ci sono anche quelle federali, che valgono per tutti i produttori americani e per chi esporta. La Exice Tax federale per il vino fermo è di 1,07 dollari a gallone (4,5 litri).
Favoriti i piccoli distributori
La legge ha introdotto una progressività dell'imposta, con una divisione dei produttori in scaglioni e un rimborso fiscale
che per i piccoli è quasi pari a zero. Sono considerati piccoli produttori quelli che vendono meno di 30mila galloni all'anno
sul mercato americano. “Equivalgono – dice Michele Cianciulli importatore di vino italiano negli Usa – a 181mila bottiglie
di vino l'anno, 15mila casse o, se volete, dieci container. Ci sono poche aziende in Italia che superano questi livelli, il
grosso del business della produzione italiana è fatto aziende che sono sotto questo tetto”. A loro l'amministrazione Trump
riserva uno “sconto” dell'Exice Tax di 1 dollaro a gallone. “Se prima per sdoganare un container da 40 piedi di vino ci volevano
7mila dollari, oggi se ne pagano 1.500-2.000”. Per gli scaglioni successivi il recupero fiscale diminuisce. La riforma di
fatto penalizza le grandi società che fanno vino per il mass-market mentre valorizza le piccole produzioni e i piccoli distributori.
Per conquistare gli americani bisogna spingere sulla fascia alta
Per il vino italiano negli Stati Uniti è un buon momento: gli Usa sono il principale mercato di destinazione delle esportazioni vinicole italiane, mercato che assorbe circa un quarto del totale delle vendite all'estero. In base ai dati del Dipartimento al Commercio Usa,
nel 2018 l'export italiano è arrivato a quasi 2 miliardi di dollari (1,984 miliardi), con un aumento in valore del 6,8% –
ai massimi da cinque anni - a fronte di una leggera diminuzione delle quantità. “E' un buon segnale – dice Maurizio Forte
direttore dell'Ice di New York – soprattutto in termini di miglioramento del posizionamento dei vini italiani”. La quota di
mercato è aumentata di poco dal 31,4 al 32%. I prezzi medi sono saliti del 5,4%, passando da 5,6 a 5,9 dollari a litro. Contro
un prezzo medio dei vini francesi che è a circa 11 dollari. Di strada da fare ce n'è. “Bisogna continuare a spingere sulla
fascia alta, a insistere sulla qualità per far aumentare il prezzo medio, e il valore del nostro export”, continua Forte.
Obiettivo conquistare 40 Stati
L'82% dell'export di vino italiano arriva da quattro regioni: Toscana, Veneto, Piemonte e Trentino-Alto Adige. I vini delle altre 16 Regioni hanno ampi spazi di crescita. Visto dall'altra parte, si può tentare di espandersi nel mercato
americano. Perché il 61% dell'export è concentrato in dieci Stati: le due coste più Texas, Florida, Illinois e Ohio. Negli
altri 40 stati, che hanno il restante 39%, si può fare di più. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha appena creato un
Tavolo Vino, che raggruppa tutti i soggetti istituzionali e gli operatori, rappresentati da Federvini, Unione Italiana Vini e Federdoc,
per sostenere le politiche di promozione a sostegno dei produttori. “Il vino italiano – dice Forte – va raccontato. Ci sono
tante denominazioni, bisogna far conoscere i territori”. Lo scorso anno c'è stata una campagna promozionale per elevare la
percezione del vino italiano (Italian Wine – Taste the Passion), tante attività di formazione (corsi con 400 esperti), ed
è stato lanciato un sito per aiutare la conoscenza da parte dei consumatori americani con tutti i Doc e Docg divisi per Regione
e spiegati in dettaglio.
Il nodo della concentrazione del sistema distributivo
Un altro dei nodi, oltre al posizionamento, è il problema della concentrazione del sistema distributivo. L'80% dei vino italiano
venduto negli Stati Uniti è nelle mani di quattro grandi società più interessate ai volumi, al fatturato, che alla valorizzazione
delle qualità che spesso passa dai piccoli. Un problema per le aziende italiane medio-piccole di eccellenza che spesso non
hanno la forza per contrattare alla pari con i grandi distributori. “Nel mercato oggi trovi la qualità – conferma Alessandro
Pagano che con la sua società Enoclassica fa parte di quel 20% di distributori che cerca le piccole produzioni da valorizzare
– ma purtroppo trovi ancora il vino bianco esportato sfuso e imbottigliato in California che si vende a pochi dollari. Questo
fa male all'immagine del prodotto italiano. Ai suoi territori. Non è che quello dobbiamo dare e che gli americani, i consumatori
più sofisticati con capacità di spesa, si aspettano. I piccoli produttori sono la faccia bella dell'Italia e a loro dobbiamo
puntare”.
Una percezione confermata da Gino Colangelo, che gestisce la più importante agenzia di Pr nel paese, con più di 50 dipendenti
che si occupano solo di vino. “Rappresentiamo tanti grandi vini, non solo italiani. Il mercato è buono nella fascia alta,
i vini da 50 dollari a bottiglia in su. Sempre di più gli americani cercano i prodotti di qualità. Ma bisogna aumentare la conoscenza. Bisogna far capire il valore
di quello che si beve”.
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