Se è vero che le ferite del terremoto del 2016 nel Piceno, che ha distrutto molti centri storici come Arquata del Tronto, sono ancora aperte, è anche vero che la voglia di riscatto non manca. E in questi ultimi anni la “ripartenza” nella zona è passata anche dalla fioritura (o ri-fioritura) dell'enogastronomia e dell'enoturismo.
“Forget Tuscany...”
A gennaio 2019 un approfondito reportage su The Times titolava: “Dimenticate la Toscana - scoprite le colline e le spiagge
delle Marche, la regione segreta d'Italia” (Forget Tuscany — discover the hills and beaches of Le Marche, Italy's secret region).
E nel declinare i pregi di questa regione che fu serbatoio di ricchezze e sapori per la Roma imperiale prima e papale dopo,
il quotidiano londinese rimarcava la differenza rispetto all'affollato Chiantishire o all'Umbria.
Senza nulla togliere alle molte bellezze d'Italia, certo si può riconoscere come il territorio marchigiano stia risalendo faticosamente la china. A partire dalla gastronomia, che a tutti i livelli sorprende mescolando qualità e identità.
Si riparte dalle stelle
Testimonial per eccellenza sono i quattro stellati della regione: la Guida Michelin ha infatti assegnato quest'anno la terza
stella al ristorante sul porto di Senigallia dello chef Mauro Uliassi, ha confermato le due stelle alla Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni sempre a Senigallia e una stella all'Andreina di Errico Recanati a Loreto e al Nostrano di Stefano Ciotti a Pesaro. Se dalle spiagge si risale verso le montagne, è soprattutto nel Piceno che oggi si possono riscoprire sapori preziosi,
dall'oliva ascolana al tartufo dei Sibillini.
Ascoli Piceno, piazza del Popolo
«Quando a Roma c'erano pascoli, Ascoli era Ascoli»
Con l'ironia di chi non deve dimostrare nulla, gli ascolani sintetizzano in questo detto la storia trimillenaria della città.
Imbruttita in periferia negli anni del boom economico, Ascoli mantiene un centro storico dove rimangono tracce della dominazione
romana e dell'egemonia del Papa-re, le facciate di travertino dei palazzi rimandano a una nobiltà ricca e al riconoscimento
di un prestigio durato nei secoli. Dalla cattedrale di Sant'Emidio (il protettore dai terremoti) al vescovado fino al municipio,
piazza Arringo è un gioiello di travertino che accoglie con un fascino di provincia. E prelude all'ingresso nella bellissima
Piazza del Popolo, un “salotto” sfarzoso tra il colonnato cinquecentesco in travertino sulle botteghe medievali, il palazzo
dei Cavalieri e la chiesa di San Francesco. Passeggiando alla scoperta dei ponti sul fiume Tronto e delle calli dove si affacciano
i laboratori di artigiani cultori della tradizione artistica, si scopre una città che mescola torri medievali e palazzi novecenteschi,
resti romani e chiese romaniche, il liberty del Caffè Meletti e un magnifico teatro all'italiana.
Le Dop dell'Ascolana tenera
I Romani costruirono la Via Salaria raggiungendo San Benedetto del Tronto, da dove portavano a Roma sale e olive. E Marziale
scrive che l'Urbe, prima della conquista del Piceno, non aveva a disposizione olio buono. La storia racconta dunque la vocazione
all'olivicoltura del Piceno, dove oggi gode di una doppia Dop: per il frutto e per la lavorazione delle autentiche olive fritte
all'ascolana, che dovrebbe utilizzare unicamente quella locale.
L'ascolana tenera è delicata, facilmente attaccabile dagli insetti. Ed essendo tenera deve esser colta con attenzione, tanto
che un buon raccoglitore ne porta a casa solo 60 kg al giorno. «Se è vero che è difficile coltivarle e lavorarle, sono indiscutibili
la qualità uniche in termini di croccantezza e speziatura naturali», sottolinea Stefano Gregori dell'omonima azienda, che proprio per valorizzare il frutto le offre sul mercato anche intere in vasetto. Dopo la raccolta,
i frutti compiono la fermentazione naturale (senza aggiunta di idrossido) che si sviluppa nell'arco di un anno e li rende
croccanti. Alla Gregori vengono confezionate dopo la conclusione del processo, mantenendo la ricchezza di zuccheri e lactobatteri
che ne fanno un prodotto decisamente healthy (evitando la pastorizzazione dei processi industriali). La prima raccolta avviene
a metà settembre e si selezionano manualmente le più grandi. Poi a metà ottobre si raccolgono le più piccole, destinate all'olio”.
L’olio che piace ai giappponesi
Il valore di mercato delle migliori arriva a 7/8 euro al chilo, ma «in questo momento non è facile venderle – riferiscono
- perché non c'è una vera attenzione alla qualità e altre tipologie di oliva sono più economiche, oltre che più grosse». Per
questo i produttori di olive per il confezionamento sono oggi meno di una decina sul territorio e pure alla Gregori utilizzano
quasi il 90 percento del raccolto (circa 300 quintali) per l'olio, che ha dunque caratteristiche specifiche di morbidezza.
La pressatura immediata a bassa temperatura preserva in polifenoli e l'olio, filtrato, è imbottigliato in acciaio per proteggerlo
dalla luce. È un olio per intenditori, insomma, che oggi ha un mercato soprattutto locale e che viene ricercato in Giappone.
Con volumi decisamente superiori, anche al Frantoio Agostini si concentrano sulla pressatura delle olive picene. La raccolta manuale (con agevolatori) da uliveti propri o da produttori
monitorati porta a convogliare nello stabilimento di Petritoli quasi 30mila quintali di olive (biologiche). Il processo di
pressatura, estrazione per centrifuga, filtraggio e stoccaggio a temperatura controllata avviene entro 6 ore. Il prodotto
è integralmente tracciabile dalla pianta alla bottiglia.
«La nostra famiglia fa olio da 5 generazioni», racconta Gaetano Agostini, che oggi gestisce l'azienda con il fratello Maurizio e con i figli Elia e Marco. «Oggi ne produciamo circa 5mila quintali,
che vengono distribuiti sul mercato locale, in Italia e per il 30% all'estero - soprattutto Usa, Canada e alcuni Paesi europei.
In particolare l'alta qualità è apprezzata in Giappone, Croazia e Spagna”. Al Frantoio Agostini producono anche aromatizzati,
tarando l'intensità sui gusti dei vari mercati.
Vini piceni, amore per il Bio
Secondo un'indagine condotta da Nomisma Wine Monitor per il Consorzio Vini Piceni nel 2018, il Piceno è una delle aree più
vocate d'Italia per la viticoltura bio. Ascoli ospita il 53% di tutta la vigna biologica marchigiana, che si estende complessivamente
su 5mila ettari. Un processo legato alla sensibilità dei vignaioli, sul quale l'associazione Vinea – che riunisce 600 produttori – ha investito in termini di formazione.
Tra le realtà più rappresentative del Piceno, l'azienda agricola Ciù Ciù è stata fondata nel 1970 a pochi chilometri dalla medievale Offida dai coniugi Natalino ed Anna Bartolomei, riscattando i terreni che la famiglia gestiva in regime di mezzadria. Nonostante oggi i Tenimenti Bartolomei si estendano su 300 ettari con vigneti tra Marche, Abruzzo, Toscana e Sicilia, il legame con il territorio d'origine rimane fortissimo. L'ampia gamma di vini – tutti biologici – racconta la tradizione e il terroir: dagli autoctoni Passerina e Pecorino, fino all'iconico Gotico (Rosso Piceno Superiore) e al potente Offida Doc Esperanto, capace di esprimere un vigore meraviglioso invecchiando.
Incastonate tra i Monti Sibillini e l'Adriatico, le vigne della cantina Le Canà a Carassai sono accarezzate dalla brezza marina ed esposte ad una buona escursione termica. I terreni furono acquistati dal bisnonno Don Vincenzo, tornato in Piceno dopo aver accumulato una piccola fortuna in Argentina, e oggi i fratelli Paola, Luca e Alessandra Polini (quarta generazione) gestiscono un agriturismo e lavorano su una piccola produzione (biologica) di vini del territorio. “Per lungo tempo le uve sono state conferite ai produttori locali – spiegano – poi 10 anni fa abbiamo deciso di investire sul nostro brand”. Oggi dei 25 ettari di vigne solo 6 sono destinati alla vinificazione, ma la selezione è molto accurata. Il risultato sono vini che mantengono aromi specifici maturati in questo microclima. Oltre agli autoctoni Pecorino e Passerina, il giovane enologo di famiglia Luca lavora accuratamente sul Piceno e soprattutto sul Piceno Superiore, che nelle annate giuste regala profumi intensi e un boccato elegante, guadagnandosi premi e attenzioni.
Partita 25 anni fa con l'acquisizione del podere Cardocchia a Montedinove, la famiglia Marini vanta la prima certificazione biologica della zona. L'agriturismo Oasi Biologica accoglie gli ospiti offrendo prodotti dell'orto e dei campi, olio e marmellate, ma sono i vini (rigorosamente bio) ottenuti dai 28 ettari vitati il vero fiore all'occhiello dell'azienda Cardocchia. Dai terreni argillosi tra la montagna e la costa nascono la Passerina e un Pecorino che vanta una forte personalità, il Rosso Piceno e un Rosso Piceno Superiore capace di stupire per la nitidezza dei profumi, senza rinunciare alla forza che tradizionalmente contraddistingue i vini del territorio.
Offida, borgo senza tempo con pausa gourmet
Annoverata tra i borghi più belli d'Italia, la medievale Offida riserva al visitatore una densa concentrazione di bellezza
nel centro storico. Entrando dalle mura castellane, si scoprono l'ospedale del Settecento, il Palazzo Comunale e l'annesso
teatro Serpente Aureo, l'ex convento di San Francesco che oggi ospita l'Enoteca Regionale delle Marche. Da non perdere la
chiesa di Santa Maria della Rocca, costruita sopra una cripta benedettina del 1050 a sua volta eretta sulle fondamenta di
un castello longobardo dell'anno Mille, un luogo capace di incantare e visitabile dopo il restauro avviato nel 1975.
Per esplorare i sapori di Offida, vale la pena di dedicare un paio d'ore all'osteria Ophis dello chef marchigiano Daniele Citeroni. La linea precisa della cucina spazia dal tombolo di pane ed erbe aromatiche al maiale con gelato al radicchio e julienne
di patate, dall'insalata di funghi, zucca e guanciale fino alla meringa con crema di anice verde di Catignano. Capace di entusiasmo
e rigore, Citeroni rende ancora più attraente la cittadina del vino. «Aprire qui? - ironizza - Basta svegliarsi kamikaze...
Ma per me lavorare a Offida significa affrontare un luogo che conosco da sempre».
La sua cucina vive di una relazione forte con il territorio, alternando piatti tipici del Piceno reinterpretati con eleganza e creatività alla ricerca più spinta. «Il perno di tutto è però il prodotto - ammette lo chef - che viene proposto in funzione della stagionalità o della tipicità. Carni e ortaggi sono del territorio e la mia politica è di non avere un fornitore per tutto. Perché al contrario ho tutto intorno a me, dagli allevatori agli orticoltori, per questo giro e assaggio e provo. Questo è un territorio che ben prima dei Romani era florido». Pure la carta dei vini gioca principalmente nelle Marche, anche se incontri e amicizie fuori regione portano a spaziare con curiosità.
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