Classe 1929, tra i promotori della richiesta di riconoscimento-regolamentazione dell'Aceto Balsamico e tra i fondatori dell'attuale Consorzio, Adriano Grosoli ha da poco compiuto 90 anni.
In quegli anni, al di là delle produzioni di eccellenza delle singole famiglie modenesi, l'intera produzione del Balsamico era appannaggio di soli quattro imprenditori: oltre a Grosoli c'erano Giorgio Fini, Elio Federzoni e Giuseppe Giusti. Furono loro, a trasportare l'oro nero di Modena sui mercati esteri, attraverso fiere in Europa e negli Stati Uniti, con intraprendenza e spirito pionieristico. In particolare Adriano, pur senza conoscere una parola d'inglese, riuscì a stringere rapporti di collaborazione, tuttora in essere, con importatori e distributori stranieri. «Per l'export si aggiungevano alle difficoltà di lingua, quelle di capire la mentalità del consumatore del Paese in cui esportavi, di capire le richieste di legge. Infine, le difficoltà di trasmissione dei documenti e soprattutto delle descrizioni e delle immagini dei prodotti: non c'era altro che la Posta», ricorda Adriano Grosoli.
L'intuizione delle potenzialità del Balsamico
La sua attività comincia negli anni della guerra, quando viene chiamato a occuparsi dell'attività di famiglia - iniziata nel
1891 dal nonno Adriano alle porte di Spilamberto (Modena), e insignita della medaglia d'oro all'Expo di Genova nel 1927 -
che comprendeva principalmente la lavorazione del maiale (produzione di salumi), la gestione della trattoria a San Donnino
(Modena) e della bottega di prodotti tipici modenesi, in primis il Balsamico. Adriano affianca prima i genitori nella gestione
di queste attività poi, alla fine della guerra, subentra nella gestione ed è in quel periodo che matura la prima intuizione:
decide di abbandonare la periferia, chiudere il ristorante e il laboratorio di insaccati, per trasferire la sola attività
di salumeria e gastronomia a Modena mantenendo la produzione di Balsamico, in linea con la tradizione familiare modenese.
Sviluppa così uno dei più rinomati negozi di alimentari di cucina tipica modenese, e pochi anni più tardi – in concomitanza
con l'apertura dei primi supermercati nazionali – decide di concentrarsi sul Balsamico, fino a quel momento legato a una dimensione
esclusivamente familiare.
«I più non avevano capito ancora le potenzialità di questo prodotto - racconta Adriano -. Quindi le difficoltà si trovavano su molti fronti; intanto il balsamico era conosciuto solo nell'area intorno a Modena e in qualche mercato estero, dove qualche coraggioso produttore si era spinto, per caso o con cognizione, in fiere alimentari. Il resto dell'Italia conosceva e utilizzava solo l'aceto di vino. Perciò c'era da fare “promozione” per farlo conoscere».
La battaglia per il riconoscimento legale
Nel 1965, in occasione del riassetto normativo del settore Aceti, è tra i promotori della richiesta di riconoscimento e regolamentazione
di questo prodotto. Avvia le procedure per ottenere la Licenza Ministeriale per la produzione di Aceto Balsamico di Modena che otterrà nel 1974, vende l'attività commerciale e investe tutto nella produzione di Aceto Balsamico di Modena, riportando la sede dell'attività
alle origini in Località La Busa, a pochi passi dall'edificio che era stato sede dell'antico macello. «Nei primi anni i clienti
erano quasi esclusivamente stranieri, prevalentemente italiani emigrati di prima o seconda generazione che avevano avviato
attività di importazione di prodotti alimentari, ma anche aziende gestite da stranieri sempre alla ricerca di nuovi prodotti
italiani da inserire nei loro mercati. D'altronde i i turisti che veniva in vacanza in Italia, specialmente tedeschi e austriaci,
provavano il prodotto durante le ferie e volevano portarselo a casa, e poi anche ritrovarlo nelle loro città».
La nascita del Consorzio
Nel 1993 fonda, insieme ad altri produttori, il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena per tutelare e promuovere il prodotto
e presentare domanda all'Unione Europea di registrare la denominazione come IGP. Resta Consigliere fino al 2001, ricoprendo
la carica di vicepresidente, prima di passare il testimone alla figlia Mariangela. «Soprattutto avevamo il problema legislativo,
perché era normato solo da un D.M. del 1965 che lo trattava semplicemente come un aceto agro di vino speciale, ma il balsamico
è molto di piu!».
Uno dei marchi più conosciuti al mondo
Nel 2013 la vecchia Bottega da cui è iniziata la storia imprenditoriale della famiglia, è insignita della certificazione di
Bottega Storica dal Comune di Modena. Nel 2016 l'Aceto del Duca - marchio dell'azienda è il dipinto di Velasquez raffigurante
Francesco I d'Este, già produttore di Balsamico e che portò a Modena la capitale del ducato Estense - entra a far parte dell'Unione Imprese Storiche Italiane. Oggi l'azienda conta 20 dipendenti, esporta il 75% della produzione in 40 Paesi ed è uno dei marchi di Balsamico più conosciuti
nel mondo.
A 90 anni non manca un giorno in azienda
A 90 anni Adriano ancora passa quotidianamente in azienda, per tenersi aggiornato ma soprattutto per fare la sua passeggiata
nei locali produttivi (cantina e confezionamento) dove ha sempre una parola di interesse e incoraggiamento per i dipendenti.
«La clientela è molto cambiata, perché agli inizi c'era la necessità di spiegare cos'era; la prima domanda alle fiere all'estero
era “is this wine?” A cui puntualmente seguiva un'espressione esterrefatta quanto sentivano che era “balsamic Vinegar”questo
sconosciuto. A seguire, raccontavo la storia di come si produce da secoli nell'area di Modena, la tecnica produttiva , la
storia della famiglia che sempre affascinava, soprattutto gli americani. Poi l'assaggio e la domanda “Come lo usate in Italia?
quali piatti preparate?” e il balsamico entrava nelle loro cucine come ambasciatore del Made in Italy. Oggi spesso l'approccio
è di chi sa già cosa sia il balsamico, come si utilizzi e quale sia la sua storia, complice la massa di informazioni che provengono
dal web. Ma siamo sicuri che sia davvero così? «Io credo che in realtà ci sia ancora molto da imparare sulle diverse “qualità”
del balsamico e sul suo utilizzo. Sul web, e anche al di fuori, a volte si diffondono informazioni distorte, che prendono
piede e si faticano a correggere. C'è una conoscenza superficiale e influenzata da mode e trend».
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