Se per anni si è sentito un Don Chisciotte del caffè in un'Italia poco attenta alla qualità, oggi si presenta a Berlino come alfiere di una riscossa della caffetteria in patria.
Francesco Sanapo, campione italiano Cup Tasters, parteciperà alla finale mondiale in programma tra il 6 e l'8 giugno al Berlin Expocenter city, nell'ambito della sesta edizione del World of Coffee organizzato da Sca. Più volte campione italiano Baristi e sesto al World Barista Championship 2013 a Melbourne (Australia), il 39enne Sanapo - titolare della microroastery Ditta Artigianale e degli omonimi locali fiorentini - ha deciso di mettersi di nuovo in gioco come cup taster. E dopo aver trionfato alla finale nazionale di Rimini, dove ha chiuso la sua prova d'assaggio senza alcun errore, è volato in Germania per rappresentare il tricolore.
Sanapo, come si arriva ad esser un “maestro” del caffè?
Direi che è un mix di studio ed esperienza. Lo studio mi aiutato a catalogare i vari sentori, i punti da riconoscere nel caffè
e l'esperienza ha fatto sì che aumentasse il mio bagaglio di conoscenze. Catalogare e immagazzinare sono due passaggi fondamentali.
Dunque ha bevuto moltissimi caffè?
Sì, tanti. E spero di berne ancora molti. Però ho studiato anche molto: ho scelto di seguire il programma formativo del Coffee
Quality Institute per diventare Q-grader certificato, superando esami specifici sulla conoscenza della materia prima e l'esperienza
sensoriale.
Oggi come usa queste competenze?
Mi occupo dell'acquisto di lotti di caffè per la mia piccola torrefazione artigianale specialty e per alcuni torrefattori
per cui faccio consulenza. Per 6 mesi all'anno giro nei Paesi d'origine visitando le piantagioni, parlando con i piccoli produttori.
Alle volte prepariamo un gusto direttamente all'origine, lavorando sulla fermentazione di botaniche selezionate.
Sembra un'attività professionale molto simile a quelle presenti nel vino…
Ci sono assonanze evidenti, solo che nel caffè si conosce davvero poco. Uno non pensa che un barista parta per il Costa Rica
e si metta a gestire un processo anaerobico assieme a un agronomo locale, eppure grazie all'esperienza, alla conoscenza e
ai contatti questo è il percorso che mi consente di arrivare a lavorare sul profilo gustativo proprio di quel singolo caffè.
E grazie a questo lavoro il caffè di un piccolo produttore della Colombia lavorato nella mia miniroastery è l'unico in Italia
ad aver preso una valutazione di 9,5 punti.
Il caffè è dunque questione di cultura?
Il lavoro tutti i gironi per far capire che il caffè non è solo quella cosa nera e bollente e noiosa. Dietro al caffè c'è
un mondo da scoprire e anche per questo sto girando un documentario a episodi sui miei viaggi e sulla ricerca nei Paesi d'origine.
È autoprodotto, ma sto cercando una piattaforma interessata a metterlo in onda.
A che punto è l'Italia in questa maturazione?
Siamo ad un bivio. Io non sono a Berlino solo per una gara personae, ma vorrei rappresentare l'Italia che non sta passando
un periodo luminoso nel segmento caffè. Nonostante il caffè italiano abbia fatto la storia e nonostante il made in Italy sia
ancora famoso i questo comparto, oggi vive ancora un declino legato alla guerra sul prezzo che ha portato all'abbattimento
della qualità. Questo ha portato un appannamento e poca credibilità, almeno nella community dei coffeelover che oggi evitano
i prodotti italiani. Ecco io vorrei rappresentare una nuova generazione del caffè italiano, che vuole far onore al prodotto
dei geni del passato.
Una nuova generazione sta emergendo?
Oggi le aziende che fanno caffè italiano sono dominate da eredi. Io non voglio muovere critiche gratuite, vorrei però scuotere
chi si chiude nel passato. Io seguo da 15 anni un movimento che esprime la voglia di cambiamento e lo promuovo, certo diciamo
che in Italia questo interesse cresce ancora lentamente. È bello vedere che a Milano negli ultimi due anni hanno aperto 10 spazi dedicati allo specialty coffee, ma l'evoluzione ancora lenta.
Perché?
Deve esserci una rottura netta sul prezzo del caffè, perché è scandaloso pensare che un caffè al bar costi un euro quando
produrre un kg di caffè costa circa 1,5 euro.
Con l'evoluzione il mondo caffè rappresenta anche una frontiera occupazionale?
Assolutamente sì. Fare un percorso di studi dedicato può esser fondamentale – io stesso sto aprendo una scuola di formazione
– e credo che la mia evoluzione professionale possa essere un esempio per molti giovani. Ci sono nuovi spazi commerciali nelle
aziende lungo tutta la filiera per professionisti di nuova generazione che sappiano riconoscere e valorizzare aromi e gusto.
C'è un vento nuovo che l'industria del caffè può cavalcare.
Se il barista è il “sommelier del caffè”, qual è il rapporto con la ristorazione d'alta gamma?
Non c'è. Onestamente va detto che il monoporzionato è ancora la scelta nella gran parte dei casi, perché è di facile gestione.
Eppure l'eccellenza dovrebbe arrivare fino alla fine del pasto. Mica vado in un ristorante stellato aspettandomi di trovare
nel piatto spinaci congelati o pesce scadente. Per noi il rapporto con gli chef sarebbe fondamentale e sicuramente ci possiamo
arrivare se questi comprendessero di non saper nulla di caffè. Se con umiltà coinvolgessero nelle loro cucine e nel servizio
dei professionisti, l'esperienza del caffè diventerebbe una ritualità d'eccellenza anche nei grandi ristoranti.
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