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Fincantieri-Stx, ipotesi controllo in due tempi

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la guerra dei cantieri navali

Fincantieri-Stx, ipotesi controllo in due tempi

(Ansa)
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Se c’è un punto che in questo momento unisce Francia e Italia, tatticismi a parte, è la volontà di non chiudersi tutte le porte alle spalle. L’incontro di martedì tra i ministri Pier Carlo Padoan (Economia) e Carlo Calenda (Sviluppo economico) con il titolare francese dell’Economia, Bruno Le Maire, non sarà solo un atto cortese del governo transalpino che si limita a comunicare una decisione ormai presa. Perché è chiaro che Le Maire dovrà arrivare a Roma con un atteggiamento più dialogante se davvero, come ha lasciato intendere durante la conferenza stampa di giovedì e come peraltro ha ribadito anche il presidente francese, Emmanuel Macron, nella telefonata al premier italiano Paolo Gentiloni, l’obiettivo di Parigi è trovare un accordo ampio «con gli amici italiani».

Ecco perché, da qui a martedì, non mancheranno i contatti tra le due sponde, che evidentemente coinvolgeranno anche i vertici del gruppo triestino e di Ape (l’agenzia francese delle partecipazioni pubbliche che detiene la quota di minoranza nei cantieri di Saint-Nazaire), per cercare di avvicinare le posizioni. Che, al momento, appaiono ancora distanti. Con i francesi fermi sulla volontà di avere uno schema paritario e il governo italiano che ieri, con il ministro Padoan, intervistato da Les Echos, ha ribadito che «non c’è alcun motivo per cui Fincantieri non possa disporre del 51% di Stx France». Non prima di aver ricordato che c’era già un’intesa che il governo francese ha ripudiato: «Mi sembra che questa retromarcia possa spiegarsi solo da un'assenza di fiducia nei partner italiani. Se fosse così, è inaccettabile». Padoan ha aperto però ai francesi se porteranno una proposta.

Ed è chiaro che la quadra andrà trovata tenendo conto delle esigenze espresse dalle parti. Una bozza di discussione ancora non c’è, ma nei giorni scorsi tra le ipotesi circolate si era fatta strada una soluzione in due tempi: prima il controllo paritario al 50% poi, entro 12 mesi, la possibilità per la parte italiana di esercitare un aumento di capitale per salire sopra la soglia o comunque di crescere nell’assetto azionario (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Consentendo intanto ai francesi di ottenere sul campo ulteriori rassicurazioni sul fronte occupazionale e delle competenze, aspetti peraltro già tutelati dagli accordi firmati sotto la presidenza Hollande. Questa proposta sarebbe stata accantonata dalla Francia nel pieno dello scontro. Ma in qualche modo potrebbe tornare ora d’attualità dal momento che Parigi ha dimostrato di voler comunque trovare un’intesa con Fincantieri e quella bozza, seppur perfettibile, sembra venire incontro alle esigenze transalpine. Difficile dire al momento se sarà questa la soluzione finale anche perché il punto di caduta potrebbe passare attraverso altri meccanismi, come una diversa distribuzione delle azioni tra i soggetti ormai coinvolti stabilmente nella partita: Fincantieri, lo Stato francese, il gruppo della difesa a controllo pubblico, Naval Group (l’ex Dcns), e i dipendenti. Proprio dal fronte dei lavoratori, in particolare dal segretario generale di uno dei maggiori sindacati (Cfdt), Laurent Berger, è arrivata la richiesta di riprendere al più presto le trattative «con gli italiani che ora sono un po’ arrabbiati».

L’impressione alla fine è che la Francia non possa permettersi di sbagliare né di far fuggire Fincantieri. Anche perché il fallimento del negoziato sarebbe un’ipoteca pesante sui piani di Bruxelles per la difesa unica europea. Le trattative di queste settimane avevano infatti impresso un’accelerazione alla possibile integrazione nelle attività militari tra Fincantieri e Naval Group, ma lo stop francese ha rimesso in discussione anche questo fronte, come ha ricordato ieri il ministro della Difesa, Roberta Pinotti: «Se la Francia frena sul progetto di unire i cantieri italiani e francesi, quando già abbiamo produzioni in comune, diamo una frenata anche al progetto di aggregazione industriale che è il primo passo verso il concetto di difesa comune europea».

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