Nella disputa per l’assegnazione della nuova sede dell’Ema ora è il turno dell’Europarlamento, a scendere in campo. Lo farà giovedì 22, quando una delegazione della Commissione Ambiente di Strasburgo sbarcherà ad Amsterdam per verificare una volta per tutte se la sede provvisoria offerta all’Agenzia dal governo olandese è valida oppure no. Poche ore di visita, ma decisive per portare al resto del Parlamento le prove necessarie a convincerlo della bontà, o dell’errore, della scelta fatta dal Consiglio Ue quello sfortunato — per Milano — 20 novembre.
Guiderà il manipolo composto da un parlamentare per ogni gruppo politico l’italiano Giovanni La Via, del Partito popolare: «Il nostro obiettivo è solo che sia assicurata l’operatività effettiva dell’Agenzia», dice. La delegazione incontrerà il governo olandese ma anche il management board dell’Ema. Forse il suo direttore generale in persona Guido Rasi, l’uomo che ha gettato il sasso nello stagno di tutta questa vicenda.
Nell’attuale sede di Londra dell’Agenzia europea del farmaco non vola una mosca: il direttore Rasi non farà più dichiarazioni pubbliche fino alla metà di marzo. Una strana coincidenza: proprio il 12 di marzo il Parlamento europeo sarà chiamato a votare prima in Commissione ambiente, e poi in seduta plenaria, la ratifica della decisione del Consiglio Ue del 20 novembre scorso, quella che assegna appunto ad Amsterdam e non a Milano la nuova sede dell’Ema.
«Il Parlamento europeo dovrà decidere in piena autonomia, sovranità e libertà. Sempre nell’interesse supremo dei cittadini europei», ha detto ieri il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, arrivando alla Johns Hopkins University di Bologna. E se tra gli europarlamentari prevarranno i no, si aprirà la procedura di ricerca di un compromesso a tre fra la Commissione, il Consiglio e appunto il Parlamento, che in questioni di legislazione ordinaria come questa ha parità di parola con il Consiglio.
La battaglia di Milano e dell’Italia per riaprire l’assegnazione della nuova sede dell’Agenzia ormai si è trasformata in una guerra di trincea e le opzioni sulla scacchiera si sono moltiplicate. Mentre aumentano i lati oscuri di quanto è successo prima e durante la votazione del 20 novembre scorso. L’ultimo riguarda la mancanza del verbale delle tre votazioni, così come le schede utilizzate per esprimere le preferenze. Spiega Bernard O’Connor, partner dello studio legale Nctm ed esperto in materia di contenzioso presso le Corti europee: «I principi del diritto Ue prevedono che ogni decisione amministrativa debba essere tracciabile, perché a fronte di un ricorso presso un organismo giudiziario comunitario i giudici devono poter trovare traccia di quanto è stato deciso e del perché è stata presa la decisione. Insomma, deve esserci traccia scritta».
Tutto fieno in cascina del doppio ricorso italiano a Bruxelles, quello del governo e quello del Comune di Milano, cui si è aggiunto ieri il procedimento “ad adiuvandum” della Regione Lombardia insieme a Camera di Commercio, Assolombarda, Confcommercio e sistema delle Università. Le contestazioni dell’Italia si basano infatti proprio su vizi di forma: la candidatura di Amsterdam, sostengono in procedimenti diversi i legali del Comune di Milano e dell’Avvocatura di Stato, era incompleta sul primo dei punti qualificanti della gara, cioè quello della sede destinata all’Agenzia.
Se la via dell’Europarlamento non dovesse avere successo, rimarrà sempre il piano B, quello della via giudiziaria. Che si biforca in due tronconi. C’è la richiesta di sospensiva urgente presentata dal Comune di Milano presso il Tribunale di Prima istanza Ue, e c’è il ricorso sul merito dell’assegnazione decisa dal Consiglio, avanzato dal governo italiano presso la Corte di Giustizia del Lussemburgo. Il primo è un percorso più veloce: per decidere di sospendere una decisione, in attesa del giudizio di merito vero e proprio, potrebbero bastare sei settimane. Il Tribunale di Prima istanza lo concederà solo se riterrà che l’attesa della decisione della Corte Ue possa arrecare un danno alla parte richiedente — in questo caso il Comune di Milano — che non possa essere compensato in denaro.
Se invece dovrà essere la Corte del Lussemburgo, in ultima istanza, a stabilire se c’è stato o no vizio di forma nell’assegnare l’Ema ad Amsterdam, allora Milano e l’Italia dovranno mantenere i nervi più che saldi: salvo accelerazioni, i giudici della Ue possono prendersi fino a due anni per raggiungere un verdetto.
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