Gli arrivi di olio d’oliva tunisino in Italia? «Dall’inizio dell’anno sono quadruplicati», assicura dati alla mano la Coldiretti. Ecco perché, sostengono gli agricoltori italiani, va respinta al mittente la richiesta del governo di Tunisi di rinnovare la concessione di nuove quote di export a dazio zero verso la Ue. Soltanto nei primi tre mesi del 2018 la Tunisia ha spedito nei porti nel nostro Paese quasi 20mila tonnellate di olio: se consideriamo che nel 2017 la produzione dell’Italia - peraltro secondo produttore mondiale, dietro alla Spagna - è stata di 429mila tonnellate, si intuisce per che la portata del fenomeno è tutt’altro che marginale per il made in Italy. Soprattutto perché l’olio tunisino viene prodotto a 2 euro al litro, mentre per fare quello italiano ne servono non meno di sette.
La biglia comincia a correre sul piano inclinato nel 2016 quando, per sostenere la difficile situazione socioeconomica della Tunisia a seguito della rivoluzione prima, e degli attentati poi, la Commissione europea concede a Tunisi due contingenti temporanei a dazio zero per le esportazioni di olio dirette verso la Ue: per la precisione, 35mila tonnellate per il 2016 e 35mila tonnellate per il 2017. Peccato che il Paese non usufruisce quasi per nulla, di questo vantaggio: dalla relazione della Commissione stessa risulta tra il 2016 e il 2017 la Tunisia ha sfruttato solo 2.557 delle 70mila tonnellate accordate. «Ora però l’agricoltura tunisina si è riorganizzata, tanto che per il 2018 è previsto un raddoppio della produzione di olio d’oliva», denuncia l’onorevole Angelo Ciocca, europarlamentare della Lega. Sull’olio tunisino ha inviato un’interrogazione urgente all’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Federica Mogherini, ma ad oggi non hi ricevuto alcuna risposta. La Tunisia oggi è in grado di esportare 200mila tonnellate di olio d’oliva. «Se tutt’un tratto - aggiunge Ciocca - la Tunisia si trovasse a sfruttare le quote non utilizzate per gli anni passati, più altre 70mila tonnellate di quote per il 2018 e il 2019, l’Unione europea si troverebbe di fronte a un’invasione di olio tunisino che destabilizzerebbe la produzione italiana».
Quella dell’onorevole Ciocca non è l’unica interrogazione firmata dall’Europarlamento, che ne ha recapitata una simile alla Commissione lo scorso cinque giugno: a maggio, sostengono i firmatari, il primo ministri tunisino avrebbe chiesto a Junker di estendere il trattamento di favore dell’olio per altri due anni. Anche la Commissione ufficialmente non risponde, ma sono in molti a Bruxelles a temere che l’ok alla proroga verrà inserita nel più ampio pacchetto Trade con la Tunisia, previsto per la fine dell’anno.
L’Italia produce 429mila tonnellate di olio d’oliva, ne consuma 557mila e ne esporta 236mila all’anno. È evidente che una parte dell’olio che transita dal nostro Paese non è made in Italy. Secondo la Coldiretti, due terzi viene dalla Spagna. Ma la quota tunisina, date le premesse, potrebbe aumentare. «Non abbiamo nulla contro l’olio tunisino in sé - chiarisce Di Noia - ne facciamo solo una questione di prezzo. Venderlo a due euro al litro rende antieconomico, per gli imbottigliatori, acquistare l’olio spremuto dalle olive italiane e in generale da quelle europee, il cui costo di produzione è più o meno simile all’Italia». Il risultato è che sempre più grandi marchi italiani, da Carapelli a Bertolli, imbottigliano miscele di olio “comunitario e non”: «Sull’etichetta è scritto - sostiene Di Noia - ma quanti consumatori lo leggono, così in piccolo? Serve una cultura dell’olio come quella del vino: dobbiamo spiegare che la qualità ha un prezzo».
Per dare il buon esempio, la settimana scorsa Coldiretti, Unaprol, Federolio e Filiera Agricola Italiana hanno annunciato un accordo di filiera da 10mila tonnellate e un valore di 50 milioni di euro per garantire la diffusione del 100% made in Italy. Il contratto, operativo dalla campagna olivicola in corso, ha durata pluriennale.
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