A nord, a sud, nel mezzo. Sul passante autostradale di Bologna si litiga da oltre vent’anni senza mai trovare la quadra su una soluzione che permetta di disintasare il crocevia-calvario d’Italia, lo snodo tra A1, A14 e A13 all’ombra delle Due torri. E se ne riscopre l’urgenza solo in occasione di eventi tragici come quello di due giorni fa, per accorgersi però che non funziona neppure l’ultima versione di compromesso promossa dal sindaco Virginio Merola, con tanto di via libera di compatibilità ambientale firmato dall’allora ministro Gian Luca Galletti e Società Autostrade pronta a cantierare l’opera da 700 milioni di euro a inizio 2019. E i Cinque Stelle, da sempre contrari, non hanno perso occasione ieri per ribadirlo: la versione del passante “di mezzo”, con un ampliamento in sede del sistema esistente (un allargamento a 3 corsie più corsia di emergenza per senso di marcia, sia sull’A14 che sulla tangenziale, con 4 corsie nel tratto più carico), passa ancora più a ridosso delle case e un incidente come quello di lunedì avrebbe potuto avere conseguenze assai più tragiche.
«Non è ora il momento per discutere del progetto del passante, la priorità oggi sono i feriti e il ripristino al più presto della viabilità», ribatte l’assessore regionale ai Trasporti, Raffaele Donini. Il primo studio di fattibilità del passante risale a inizio Duemila e la versione più accreditata, dei tre tracciati analizzati, era fino a tre anni fa quella del passante a nord: 38 chilometri di nuovo tratto autostradale, 11 Comuni dell’hinterland interessati (e sul piede di guerra) e 1,2 miliardi di costo per raddoppiare la portata del traffico veloce non diretto in città. Mentre la versione a sud, perorata da Lega e Forza Italia ma mai di fatto discussa operativamente, proponeva di bypassare Bologna attraverso le colline preappenniniche, con un sistema di gallerie per unire Pontecchio Marconi e San Lazzaro di Savena: costo 1,1 miliardi, ma minor impatto ambientale e stessi tempi di costruzione del passante di mezzo (tre anni, secondo i proponenti).
In attesa che il ministro delle Infrastrutture pentastellato Danilo Toninelli presenti l’analisi costi-benefici «oggettiva, scientifica e terza» del Governo sulle grandi opere necessarie al Paese, Bologna e tutta l’Emilia-Romagna continuano a fare i conti con una posizione baricentrica in Europa per il traffico merci (passa qui il corridoio Ten-T Scandinavia-Mediterraneo) e un ruolo di primattore in Ue per produttività e innovazione industriale, ma infrastrutture viarie ferme agli anni 70 che rappresentano il tallone d’Achille della competitività territoriale.
«Se non si rimettono in moto gli investimenti in infrastrutture, non si rilanciano l’economia e l’occupazione. E non serve aspettare la conta di morti e dei danni per rendersi conto del ritardo che scontiamo rispetto al resto d’Europa, non solo sulle grandi opere ma sulle manutenzioni del patrimonio scolastico, idrogeologico e stradale. Il resto del mondo investe e corre e non aspetta un’Italia ferma e invischiata in iter normativi complicatissimi: ci sono 140 miliardi in più disponibili per investimenti da qui al 2033 che rischiano di restare su carta», sottolinea il presidente di Ance-Confindustria, Gabriele Buia, imprenditore di Parma. Ricordando che se lo scoppio del camion sull’A14 fosse avvenuto pochi chilometri più in là, all’intersezione con l’A1 invece che a Borgo Panigale, si sarebbe paralizzato l’intero Paese. E non c’è solo il passante nell’elenco delle opere prioritarie per sbloccare il crocevia d’Italia, ma anche Cispadana, Campogalliano-Sassuolo e Tibre.
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