Se è vero che noi uomini, come diceva il Poeta, siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni, è ancora più vero che la discografia è ormai fatta della stessa materia di cui è fatto lo streaming. I dati del Global Music Report di Ifpi, federazione mondiale delle major, parlano chiaro: nel 2018 il mercato mondiale della musica incisa ha movimentato 19,1 miliardi di dollari, mettendo a segno un incremento del 9,7% sull’anno precedente e infilando il quarto anno consecutivo di crescita. Tutto grazie allo streaming, segmento trainante. In Italia, 12esimo mercato mondiale, il business cresce del 2,6%, muovendo 228,5 milioni di euro.
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L’età dello streaming
Signore e signori, guai a considerare lo streaming il futuro della musica: è già il presente. Si sa che comandano Spotify e Apple Music in prima battuta, con YouTube Music e Amazon Music che seguono a ruota. A livello globale la cosiddetta «musica liquida» vale il 47% dei ricavi e l’anno scorso ha conosciuto
un incremento di 34 punti percentuali, grazie a un vero e proprio boom (+32,9%) dei contratti premium. Il 2018 ha fatto i
conti con qualcosa come 255 milioni di utenti a pagamento delle piattaforme di streaming che da soli generano il 37% del fatturato
della musica incisa. La crescita dello streaming ha più che compensato il calo del mercato fisico (-10,1%) e il tracollo del
download (-21,2%), una formula di consumo ormai residuale.
La grande marcia asiatica
Gli artisti più venduti a livello globale? Il rapper canadese Drake, i sudcoreani Bts, alfieri del k-pop, e il teen idol Ed Sheeran. Investimenti in innovazione e partnership varie da parte delle case discografiche garantiscono una crescita dinamica nei
mercati ad alto potenziale. Per il quarto anno consecutivo, l’America Latina è stata l’area caratterizzata dall’incremento
maggiore (+16,8%), grazie alle performance di Brasile (+15,4%) e Messico (+14,7%). Asia e Oceania (+11,7%) sono cresciute
fino a diventare la seconda regione per fatturato fisico e digitale, con un incremento particolarmente marcato in Corea del
Sud (+17,9%). «Le case discografiche - commenta Frances Moore, ceo di Ifpi - continuano a investire in artisti, persone e
innovazione sia nei mercati consolidati che nelle regioni in via di sviluppo che beneficiano sempre di più dell’essere parte
dell’attuale panorama musicale globale». Gli Stati Uniti restano il primo mercato mondiale davanti a Giappone e Gran Bretagna.
L’Italia è 12esima considerando l’intero music business, ma sale al settimo posto se si stringe il focus soltanto sulle vendite
fisiche.
Italia, mercato al +2,6%
Qui da noi la discografia ha mosso 228,5 milioni di euro, il 2,6% in più rispetto all’anno precedente. Il 2018 è stato il secondo anno consecutivo in cui lo streaming (94,8 milioni)
ha pesato più del fisico (61,9 milioni). Anche sullo Stivale lo streaming cresce prepotentemente (+44,3%), mentre il fisico
(-27,1%) e il download (-18,1% per un valore di appena 11,4 milioni) arretrano. Avanza il ricorso alle formule premium (+55,4%).
«Su altri mercati - commenta Enzo Mazza, ceo di Fimi, l’associazione confindustriale delle major discografiche - i ricavi
dai servizi premium risultano ancora più cospicui. E non è una grossa sorpresa: il nostro pubblico è piuttosto restio a passare
alle formule premium. Avviene in molti settori, non solo nella musica». Lo streaming, in ogni caso, ha dato una spallata importante
alla pirateria: «Oggi - racconta Mazza - se parliamo di musica ha un impatto inferiore al 20% del mercato. Fino a qualche
anno fa eravamo intorno al 30 per cento».
L’impatto del Bonus Cultura
Elemento curioso: 21 milioni di ricavi sono arrivati grazie al Bonus Cultura. Il vinile cala (-15%), attestandosi a 13,6 milioni
di ricavi, «ma in questo caso - spiega Mazza - le cause del fenomeno vanno ricercate nel fatto che probabilmente sono mancati
titoli capaci di accendere la fantasia degli appassionati. Il vinile è una nicchia e un calo di poche migliaia di unità può
portare a oscillazioni importanti a livello percentuale». Un ultimo pensiero Mazza lo rivolge al varo della direttiva Ue sul
copyright da parte del Parlamento europeo, «una tappa fondamentale verso il superamento del value gap», quella iniqua distribuzione
tra chi produce contenuti coperti da diritto d’autore e le piattaforme di streaming. A partire dalle piattaforme «user generated
content». Una a caso: YouTube.
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