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Rivoluzione Gdo, non solo Conad e Auchan: così cambieranno i…

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Rivoluzione Gdo, non solo Conad e Auchan: così cambieranno i consumi

Aggregazioni tra insegne, partnership, nuove centrali d’acquisto: il risiko della grande distribuzione organizzata (Gdo) ha visto negli ultimi anni una decisa accelerazione, a livello internazionale così come in Italia. E l’operazione annunciata martedì scorso da Conad, che acquisirà quasi tutti i punti vendita Auchan nel nostro Paese – non è che l’ultimo tassello di un mosaico ancora tutto da costruire. La vera sfida per gli operatori del settore, tuttavia, non si gioca sul piano degli assetti societari, ma su quello dei contenuti: le nuove tecnologie, la sostenibilità ambientale e sociale, l’italianità dei prodotti, la tracciabilità e la trasparenza.

Si gioca sulla capacità delle insegne di instaurare un nuovo patto di fiducia con i consumatori, tema al centro della 35esima edizione di Linkontro, il forum annuale del largo consumo organizzato da Nielsen Italia in Sardegna.
La sfida è complessa, perché si fonda su paradigmi radicalmente nuovi, dopo che l’avvento dell’e-commerce e le innovazioni tecnologiche hanno scardinato quelli in vigore da secoli. «Il futuro della Gdo va immaginato – sostiene Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Unes -. Quasi alla Jules Verne: anche con qualche azzardo, con proposte che potrebbero essere smentite». Perché il «mass market» come lo abbiamo conosciuto fino a ieri non esiste e non esisterà più. «Stiamo vivendo un passaggio epocale - aggiunge Gasbarrino - e di fronte a trasformazioni di questa portata, le operazioni di razionalizzazione e concentrazione rischiano di essere una risposta già vecchia». Necessaria, ma non sufficiente.

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L’e-commerce, rileva Nielsen, oggi in Italia rappresenta l’1,6% del valore complessivo della Gdo (che si attesta tra i 100 e i 105 miliardi di euro) ed è cresciuto del 27,7% nel primo quadrimestre del 2019. La sua diffusione ha spezzato il tradizionale duopolio tra industria di marca e distributore: «I ruoli si stanno mischiando – osserva ancora Gasbarrino -: i produttori potranno fare i distributori e viceversa, inoltre sono comparsi i “pure player” che possono fare entrambe le cose». Il tempo entro il quale entro in possesso di un bene, infine, diventa la variariabile discriminante nella scelta stessa del prodotto o del retailer.

È cambiato il terreno stesso della competizione, fa notare Giorgio Santambrogio, ad di VéGé e presidente di Adm (Associazione distribuzione moderna): «Oggi la concorrenza non è più solo tra insegne, ma a 360 gradi. È tra negozi fisici, ma anche tra negozi fisici e online o negozi multicanale, tra ristorazione e distribuzione, tra questi e il food delivery».

La specializzazione, la distinzione dell’offerta e il radicamento sul territorio saranno gli elementi in grado di fare la differenza. Così come l’attenzione alla sostenibilità, alla qualità, alla trasparenza e alla sicurezza dei prodotti. Nielsen certifica ad esempio che, dopo il boom nell’alimentare, anche il mondo dei prodotti per la cura della casa e della persona beneficia dell’etichetta “green”, con una crescita del 3,1% dei prodotti ecosostenibili e picchi del 24,5% per quelli con meno plastica. Mentre registrano un incremento del 4%, a valore, le vendite nei cosiddetti Special Drug, le catene specializzate.

I negozi saranno di meno e saranno più piccoli, saranno omnicanale e più specializzati, sempre più touch point ed esperienziali, sempre più showroom e monomarca. «Chi fa un po’ di tutto non resisterà. Vincerà chi riuscirà a conquistare la fiducia dei clienti», sentenzia l’ad di Unes. Cambierà il modo stesso di ingaggiarli: se da tempo è finita l’epoca di Carosello, ormai è terminata anche quella di Trip Advisor e degli influencer: gli influencer del futuro si chiamano Alexa e usano l’intelligenza artificiale.

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Ecco perché la strada delle aggregazioni – inevitabile e necessaria in un contesto come quello italiano, caratterizzato da un sistema distributivo estremamente frammentato, con numerosi operatori regionali molto radicati ai loro territori – da sola non basta. «Per stare bene sul mercato occorre avere una proposta distintiva e interessante per il cliente – dice Marco Bordoli, amministratore delegato di Crai Secom: -. Il focus è sul prodotto, non sulle operazioni societarie. Il nostro prodotto è il negozio e dobbiamo renderlo innovativo, affinché il cliente possa sceglierlo». Secondo Lucio Fochesato, direttore generale di Despar Italia, «il futuro della Gdo passa per negozi capaci di emozionare il cliente, come quello che inaugureremeo tra poche settimane a Carpi, che rappresenterà nuovo concept di superstore – spiega -. Sempre nella logica di essere vicini al territorio e a valori come qualità, sicurezza, innovazione e sostenibilità ambientale».

Tuttavia, operazioni come quella annunciata da Conad sono destinate a lasciare il segno sul mercato italiano della distribuzione. «È probabile che si inneschi un effetto-domino con ulteriori movimenti da parte degli operatori – ipotizza il direttore Retailer services di Nielsen Italia, Romolo de Camillis –. Del resto credo sia inevitabile andare verso uno scenario in cui diminuirà il numero di insegne, ma non mi aspetto l’intervento di qualche gigante della distribuzione dall’estero, che comprerà i piccoli negozi italiani. Piuttosto, a muoversi saranno le insegne nazionali maggiori, in grado di accorpare quelle più piccole o in difficoltà, armonizzare l’offerta e aiutarle nello sviluppo». Un futuro fatto dunque di concentrazione delle insegne, ma sempre in un contesto di imprenditorialità diffusa, con molti operatori medio piccoli legati al territorio.

Anche secondo Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, «non è finita qui: in un contesto distributivo come quello italiano, fatto di realtà regionali e catene associate, un processo di razionalizzazione è naturale, spinto dal fatto che il mercato non cresce più. Penso che in futuro ci sarà una selezione di operatori». Il mercato del largo consumo nella Gdo sembra essersi ripreso, con una crescita del 2% delle vendite a valore nei primi quattro mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, secondo le rilevazioni Nielsen, e una stima del +1,5% per fine anno. Tuttavia la distribuzione tradizionale arranca e da anni, a parità di rete, non cresce, insidiata peraltro da diversi fattori: la competizione dell’e-commerce e dei discount da un lato; la minaccia di un aumento dell’Iva e delle chiusure domenicali dall’altro.

Uno scenario insostenibile per un sistema polverizzato come quello italiano. Ecco perché «assistiamo a un processo domino accelerato di aggregazioni e acquisizioni – osserva Santambrogio, che prevede nuove operazioni nei prossimi mesi, sul mercato italiano –. E questo è positivo, ma mi sembra che talvolta si proceda in modo un po’ confuso. Il timore è che possano avvenire unioni figlie non di reali comuni esigenze, ma solo della necessità di mettersi assieme per fare massa critica. Accorpamenti, più che partnership». Con il rischio di un appiattimento dell’offerta e di una perdita proprio di quelle specializzazioni che sono invece una leva importante per tenere testa alla competizione.

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