Mondo

Dossier I mercati crollano sul fallimento di leadership europea

  • Abbonati
  • Accedi
Dossier | N. (none) articoliReferendum su Brexit

I mercati crollano sul fallimento di leadership europea

«C'è nebbia sulla Manica: il continente è isolato». Una volta si usava questo vecchio titolo per ironizzare sulla mentalità degli inglesi: se la nebbia impediva la navigazione nel Canale, ad essere “tagliata fuori” non era la Gran Bretagna, ma l'intero continente. Ma oggi è diverso. Nell'era della globalizzazione economica, e soprattutto dell'interdipendenza dei mercati, Brexit ha letteralmente spento la luce su tutti i mercati finanzie e dei capitali, facendo sbandare ogni indice azionario, titolo di Stato, valuta o materia prima che direttamente o indirettamente hanno nella City di Londra il loro faro di riferimento.

Chiamarlo Venerdì nero o Cigno Nero poco importa: quello che è certo, è che sono bastati pochi istanti dall'annuncio della vittoria dei «Si» per mettere in moto un processo di distruzione finanziaria globale mai visto prima d'ora.

Da Tokyo a Milano, da Francoforte a Wall Street, azioni, obbligazioni, valute, titoli di Stato, materie prime, futures e opzioni sono stati travolti da un'onda di panico senza precedenti: la sterlina, come previsto in caso di vittoria del fronte anti-Ue, è crollata ai livelli di trenta anni fa e il petrolio ha perso in pochi istanti tutto quello che aveva recuperato in tre mesi. E al crollo delle Borse di Tokyo e Shangai, ha ovviamente fatto seguito la capitolazione degli altri listini asiatici: maturo o emergente, nessun mercato compresa Piazza Affari, sembra oggi al sicuro.

La Borsa di Milano è controllata tra l'altro proprio dalla Borsa di Londra: su questo legame societario c'è ora un grosso punto interrogativo, visto che l'Inghilterra non è più nell'Unione Europea. Quali rapporti regoleranno d'ora in poi le due istituzioni, visto che cadrà persino la libertà di circolazione dei loro dipendenti tra un paese e l'altro? E che fine farà la fusione tra la Borsa inglese e quella tedesca? Molti si aspettano ora che salti la fusione e che Wall Street si faccia avanti come acquirente alternativo.

Staremo a vedere. Ma intanto, meglio prepararsi. Se da un lato è usare prudenza in Borsa sui titoli ciclici, bancari e finanziari, dall'altro sembra essere ripartita la corsa all'Oro, balzato ai massimi del 2014 e sfondando almeno due soglie tecniche di resistenza. Anche i rendimenti dei Titoli di Stato americani partiti al ribasso, crollando al nuovo minimo dell'1,453%: la fuga dal rischio ha spinto i tassi dei Bund tedeschi a 10 anni addirittura a -0,04%, un nuovo record negativo che apre scenari preoccupanti per la Germania e per i rapporti con la stessa Bce.

Berlino, che già mal digeriva gli effetti negativi della caduta dei tassi Bund a quota zero per effetto del Quantitative easing, rischia di diventare il solo punto di riferimento per tutti i capitali in euro in cerca di rifugio: secondo i dati Target 2 della Bce (registra i flussi di capitale tra paesi dell'eurozona) già in aprile la Germania presentava un attivo di capitali (saldo tra euro in uscita ed euro in entrata el paese) per 625,8 miliardi di euro, un record mai toccato finora: al contrario, si è accentuata la fuga di capitali dai paesi periferici d'Europa, con in testa l'Italia (-264,7 miliardi, anche questo record storico), la Spagna (-254,9 miliardi), il Portogallo (-65 miliardi) e la Grecia 8-95 miliardi).

In pratica, le banche tedesche stanno raccogliendo tutto il denaro che esce dai paesi più deboli della Ue per effetto delle vendite dei loro titoli di Stato: BTp e di Bonos che vengono venduti per ricomprare Bund. Oggi, in questo senso, sarà probabilmente una giornata di fuoco per i titoli di Stato della scuderia dei Piigs. Serve a poco cercare colpevoli tra i banchieri a Londra o dare la colpa di questa catastrofe finanziaria all'isolazionismo e al populismo inglese: i mercati non sono né di destra né di sinistra né buoni né cattivi, ma reagiscono male quando l'assenza di leadership politica è più pericolosa di una recessione o di una crisi finanziaria.

Reazioni finanziariamente violente come quelle viste oggi, insomma, denunciano molto più dell'incertezza e della paura per le incognite sul futuro dell'Inghilterra o sulla ridefinizione dei trattati con l'Europa. L'urlo che si è sollevato dai mercati va letto come un palese atto di sfiducia nei confronti della capacità di leadership della classe politica europea e soprattutto di quella tedesca, paralizzata nei suoi dogmi culturali e troppo incline a sostituire diplomazia e dialogo con moniti e ritorsioni: pensare di poter trattare gli inglesi come i greci, minacciarli di sanzioni e isolamento, è stato quanto meno ingenuo, se non addirittura irresponsabile visto l'esito del referendum.

Si potrebbe andare avanti con la lista dei caduti e delle polemiche, ma solo i numeri stabiliranno a fine giornata quanto è costato a investitori, aziende e mercati il giorno più lungo non solo per trader e investitori, ma soprattutto per la leadership europea e inglese di dare risposta. L'inghilterra i soldi li presta, non ha bisogno di farseli prestare dalla Troika: e ad ogni buon conto, pensare di potre gestire una crisi politica come se fosse una crisi del debito, è solo una rischiosa arroganza.

Brexit o no, i due scenari per il Regno Unito

© Riproduzione riservata