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Dal mailgate alla polmonite, quelle «bugie» che inguaiano Hillary

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Dal mailgate alla polmonite, quelle «bugie» che inguaiano Hillary

NEW YORK - Che sia caduto un macigno sulla campagna elettorale di Hillary Clinton? È Presto per dirlo, ma la storia della polmonite non è solo la storia di una malattia, è anche la storia di un problema di carattere: la Clinton sapeva di avere la polmonite da alcuni giorni, anche prima delle curiosità attizzite dai suoi violenti, inarrestabili, preoccupanti colpi di tosse in aereo coi giornalisti la settimana scorsa. Eppure nonostante Donald Trump la incalzasse chiedendo notizie sulla sua salute, non aveva mai detto nulla.

È questo suo limite, quello del non essere aperta, del non aver capito quanto sia importante in politica giocare d'anticipo, agire “prima” di essere scoperti, che oggi, il giorno dopo le rivelazioni dell'11 settembre, le sta creando difficoltà. Alla polemica sulla polmonite si aggiunge infatti un passato di ambiguità e di “bugie”, a partire dal server personale per gestire le sue email anche top secret.

Prima Hillary minimizzava, «non c'è nulla», diceva. Poi si è scoperto che c'erano 30.000 email, alcune davvero top secret. Adesso, appena qualche settimana fa, l'Fbi ha comunicato che il numero delle email è salito a 45.000 e le nuove 15.000 che sono saltate fuori non sono ancora state passate al setaccio, saranno rese note in ottobre. Possibile che sia proprio per questo che in ambienti informati si parla di un'amica della Clinton, una celebrità socio/culinaria in America? Avrebbe rivelato parlando con amici intimi la possibilità di una imminente “sorpresa di ottobre”: che salti fuori qualcosa di molto “personale”, qualcos'altro di imbarazzante? Forse no, ma il problema è che la gente ne parlava e prima ancora della notizia sulla polmonite nascosta il distacco fra Hillary e Trump si era ridotto a soli tre punti.

Ci fu anche la questione di Bengasi, del mancato invio di truppe per proteggere il consolato sotto assedio nella seconda città libica e l'ambasciatore Christopher Stevens, che sarebbe poi stato ucciso dai dimostranti. In quel caso, a parte la dinamica politico militare e le polemiche sull'incompetenza di Hillary ci fu un episodio per “coprire” l'evoluzione dei fatti. Susan Rice, allora ambasciatore alle Nazioni Uniti negò in una celebra intervista con “Meet the Press” della Nbc che si fosse trattato di un attacco terroristico pianificato e disse che la reazione fu imprevedibile, spontanea, in seguito a un video anti islam prodotto in America che proprio nei giorni precedenti (parliamo del 2012), aveva sollevato proteste al Cairo.

Ci furono poi email che dimostrarono come la storia dell'attacco spontaneo fosse una bugia, che l'amministrazione a quel punto sapeva, che le istruzioni per quella versione dei fatti veniva dalla Casa Bianca anche per proteggere Hillary. Susan Rice interpretò male il suo ruolo, fu distrutta dai media e dall'opposizione e quel suo gesto “sacrificale” le costò la poltrona di segretario di Stato cui ambiva dopo l'annuncio delle dimissioni di Hillary. Fu poi nominata capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca.

C'è poi l'episodio di Uranium One, l'azienda canadese produttrice di uranio, una delle più grandi del mondo. Fra il 2009 e il 2013 l'azienda di stato russa Rosaton cominciò ad acquistare pacchetti di Uranium One e gli azionisti di Uranium One, o meglio il presidente dell'azienda a quel punto legato a Mosca cominciò a fare donazioni alla Clinton Foundation. All'inizio come rivelò lo stesso New York Times furono alcuni milioni di dollari, ma “Clinton's Cash” un libro scritto da Peter Schweizer, rivela che la donazione complessiva sarebbe stata di 145 milioni di dollari. Non solo, Hillary dopo il suo ritorno alla vita privata andò a Mosca per un pronunciare un discorso alla Banca russa Renaissance, compenso: 500.000 dollari. Di nuovo, la banca è vicina al Cremlino, aveva lavorato all'affare per conto di Rosaton. Il problema? Il dipartimento di Stato guidato in quegli anni da Hillary doveva autorizzare la vendita alla Russia visto che per Uranium One passava anche il 20% dell'uranio americano. Una questione di sicurezza un controllo necessario per evitare che la principale fonte per armare le testate nucleari finisse in mano al “nemico”. Ci furono telefonate e l'accordo fu autorizzato dal dipartimento di Stato.

Ma il rapporto “vicino” tra Fondazione Clinton e dipartimento di Stato è stato più volte discusso, con al centro un personaggio molto controverso, Doug Band, fedelissimo di Bill e Hillary da quando aveva 27 anni e lavorava alla Casa Bianca di Bill. Più volte Band, con un ruolo chiave alla fondazione Clinton, contattò il dipartimento di Stato violando le “pareti cinesi” imposte per evitare conflitti di interesse. Spesso chiamava diplomatici o direttamente l'assistente personale di Hillary, Huma Abedin per chiedere presentazioni o appuntamenti di ambasciatori americani con sostenitori (clienti?) della Clinton Foundation. La Abedin rispondeva con puntualità. Del resto anche per lei ci fu lo scandalo: ricordate le foto porno che il marito Anthony Weiner, recidivo, ex deputato vicino a Bill postava su messaggi personali inviati a gentili signore? Settimane fa i due si sono separati.

La lista potrebbe continuare, ma questi eventi hanno denominatore comune: Hillary dà l'idea di avere sempre qualcosa da nascondere. Perchè mai altrimenti avrebbe dirottato tutte le sue email su un server privato chiuso al Dipartimento di Stato che invece richiedeva accesso alle email? Per questo la gente non si fida, per questo si sente dire “brava ma antipatica”: la signora Clinton è considerata una manipolatrice, ma la maggioranza degli americani è incline a votarla lo stesso perchè, parafrasando il grande Indro Montanelli, meglio votare lei turandosi il naso che votare per un avventuriero bislacco come Donald Trump.

Da oggi tutto potrebbe cambiare: i sondaggisti anticipano che Hillary soffrirà per questa sua ultima (innocente?) bugia sulla sua salute. Anche perchè oggi tutti si chiedono, Trump per primo: quanto più fragile è la sua salute? Perchè non vuole rendere pubblica la sua cartella clinica? Possibile che il grumo di sangue che le è rimasto dopo la bizzarra caduta del 2014 nasconda qualcosa di più grave? C'è di nuovo aria di mistero insomma, cosa che non aiuta un candidato alle elezioni per la Casa Bianca. Donald Trump ne approfitterà. E il partito democratico è in stato di allerta. Possibile che Hillary stia male al punto da essere costretta al ritiro? Per ora tutti smentiscono. Ma il vice presidente Joe Biden si sta di nuovo scaldando i muscoli. Del resto tutti concordano su un fatto: contro Donald Trump sarebbe un candidato molto più efficace e sicuramente più amato di Hillary dal grande pubblico.

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