Gli esperti non hanno dubbi: il pericolo numero uno per il voto europeo di maggio è quello rappresentato dalladisinformazione. Ovvero dai “bot automatizzati” (“bot” sta per “robot”), a volte organizzati persino da Governi stranieri, che già in passato hanno influenzato il dibattito online e le conversazioni sui social, in innumerevoli occasioni, dalle polemiche italiane sui migranti al voto sull'indipendenza della Catalogna, fino alle discussione sui “gilet gialli” francesi.
Perché ricorrere ad attacchi hacker per falsare il voto quando basta influenzare gli elettori - in particolare quelli incerti, molto presenti alle elezioni europee - con migliaia e migliaia di fake news? Stando a un sondaggio condotto dalla stessa Unione europea lo scorso settembre, il 73% degli elettori europei è molto preoccupato della disinformazione. Non ha tutti i torti.
Spieghiamo innanzitutto cosa sono i “bot”, in particolare i “social bot” (quelli presenti sui social network sotto forma di falsi profili). Si tratta di veri e propri algoritmi di intelligenza artificiale in grado di
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comprendere in modo abbastanza efficace il linguaggio di utenti umani che interagiscono con loro, a suon di like ma anche di commenti veri e propri. Grazie al “machine learning”, infatti, i “bot” riescono a migliorare la loro interazione con persone reali imparando dai loro errori.
I social traboccano di profili falsi, in realtà “bot automatizzati”. Twitter, nel suo ultimo rapporto biennale sulla trasparenza, ha ammesso di aver individuato a livello mondiale solo tra il gennaio e il giugno 2018 oltre 232 milioni di profili probabilmente fasulli, il 75% di quali sono stati poi sospesi. Facebook, da parte sua, ha cancellato qualcosa come 583 milioni di falsi profili. Mentre secondo uno studio della società di ricerca Ghost Data, su Instagram quasi un decimo degli account (95 milioni su un miliardo) corrisponderebbe non a utenti in carne e ossa ma ancora una volta a “bot automatizzati”, alcuni dei quali abbandonati dai loro creatori a far danni di vario tipo in Rete.
Ma come riuscire a influenzare le elezioni europee a colpi di fake news? Secondo gli esperti le mosse fondamentali sono tre. Vediamole.
1.CREA FALSE INFORMAZIONI
Fabbricare disinformazione è incredibilmente semplice, spiega Uku Sarekanno, direttore del settore cybersicurezza all'Estonian Information System Authority. «Inizia a concentrarti
sui problemi che dividono la società come migrazioni o disuguaglianze - spiega - . Presenta il problema senza sfumature, “bianco” o “nero”, “giusto” o “sbagliato”. Poi recluta qualche studente sui forum online per mettere assieme titoli e immagini provocatori, con un po' di testo. Infine
affida il tutto ai “bot automatizzati” per moltiplicare esponenzialmente il messaggio sui social media». E il gioco è fatto,
anche perché, come sottolinea Sarekanno, «i “bot” lavorano ventiquattro ore al giorno per sette giorni alla settimana e hanno raggiunto un livello di sofisticazione che rende difficile far capire se si tratta di un robot o di un essere umano».
Di esempi ormai storici di disinformazione ne esistono molti, dalla cosiddetta Internet Research Agency di San Pietroburgo al famigerato “50 Cent Army”, il cyberesercito cinese che secondo uno studio dell’Università di Harvard è stato in grado di produrre 448 milioni di falsi commenti in un anno grazie a due milioni di “soldatini dei social” pagati 0,08 centesimi di dollaro a intervento. Ma l’era dei troll in carne e ossa è ormai alle spalle: ora grazie ai “bot automatizzati” si producono fake news a ritmi stakanovisti e sostanzialmente a costo zero.
2. SCEGLI ACCURATAMENTE SUI SOCIAL IL TUO TARGET
Qui la parola d’ordine è “social profiling”, ovvero profilazione dei singoli utenti dei social media in base al loro comportamento in ambito digitale. Anche qui è tutto
molto semplice: basta cercare sui social network i gruppi di “arrabbiati” e di “scontenti” e unirsi a loro, per poi mettere
in azione i famigerati “social bot” con i loro messaggi estremi.
Le elezioni europee di maggio sono un’occasione troppo invitante per non provarci: come spiega ancora il direttore del settore cybersicurezza all'Estonian Information System Authority, «hanno
un livello di partecipazione al voto tradizionalmente basso e 27 diversi sistemi elettorali: rappresentano quindi un terreno assai promettente per il voto di protesta e le prese di posizione estreme».
3. CERCA LO SCONTRO PERSONALE
Uno degli approcci vincenti per chi organizza disinformazione è quello di cercare di compromettere la base elettorale dei candidati sgraditi, creando allo stesso tempo sfiducia nel sistema elettorale. Qui entrano in gioco gli hacker veri e propri, in grado di rubare le informazioni personali dei politici non graditi. Anche in questo caso è molto meno difficile di quanto sembri: in Germania uno studente ventenne è riuscito a “rubare” e a diffondere su Twitter i dati personali di un migliaio di politici, tra i quali la Cancelliera Angela Merkel, il presidente Frank-Walter Steinmeier e il leader dei Verdi Robert Habeck.
Il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, ha spiegato che il giovane hacker ha approfittato della debolezza delle password dei politici per accedere a conversazioni private, informazioni personali e numeri di cellulare.
Sul fronte della cybersicurezza «i partiti politici europei rappresentano un altro dei potenziali anelli deboli», spiega Fabrice
Pothier, senior adviser della Commissione Transatlantica sull’Integrità delle Elezioni, vicino a Macron. Anche perché manca
la trasparenza necessaria per capire chi finanzia dall’estero alcuni partiti politici europei.
Ma è anche molto facile condurre attacchi informatici contro infrastrutture elettorali, partiti e siti internet di importanti media: come spiega ancora il direttore del settore cybersicurezza all’Estonian Information System Authority, bastano 400 euro per cercare di trovare falle in un’infrastruttura internet. Con lo scopo, ancora una volta, di alimentare la sfiducia nel sistema elettorale e quindi nella partecipazione al voto.
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