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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2011 alle ore 08:42.

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Un atto di coraggio, ossia l'anticipo al 2012 dell'applicazione del metodo contributivo: sarebbe questa a un tempo una buona risposta all'emergenza finanziaria e un'occasione per migliorare strutturalmente il sistema pensionistico. Quando nel 1995 si introdusse tale metodo (che prevede pensioni determinate in base ai contributi versati e all'età di pensionamento e non più in base a una media delle retribuzioni degli ultimi anni) il coraggio mancò e, per ottenere il consenso sociale all'approvazione di questa radicale riforma, si decise di attuarla con il contagocce. Il metodo, applicato integralmente alle nuove generazioni, venne quindi diluito per i lavoratori già attivi, con la creazione di uno spartiacque artificiale teso a "salvare" le generazioni più anziane: mentre si applicava alle anzianità future per i lavoratori con meno di 18 anni di attività (il cosiddetto pro-rata), non si applicava per nulla a quelli con 18 e più anni.

Questo percorso implica che le prime pensioni parzialmente contributive arriveranno a maturazione soltanto verso il 2015 e che le prime pensioni interamente contributive saranno pagate soltanto dopo il 2030. Con il metodo contributivo, a ogni età corrisponde un coefficiente per la trasformazione in pensione dei contributi, capitalizzati al tasso di crescita del Pil, maturati dal lavoratore. L'applicazione immediata, ossia a partire dal 2012, del metodo contributivo a tutte le anzianità future e a tutti i lavoratori (uomini e donne, dipendenti e autonomi, liberi professionisti e politici) e il parallelo innalzamento della fascia di età pensionabile dai 57-65 anni, stabiliti nel 1995, ai 63-68 anni per tener conto dell'aumento dell'aspettativa di vita (alla quale la fascia sarebbe successivamente indicizzata) porterebbe anzitutto a una cospicua riduzione della spesa pensionistica, stimabile in alcuni miliardi di euro all'anno.

Anche se compiuto in emergenza, e verso la fine del periodo di transizione, quest'intervento avrebbe una chiara natura strutturale e, a parte la riduzione della spesa, presenterebbe indubbi vantaggi sotto diversi profili. Il carattere generale e l'uniformità del metodo contributivo introducono trasparenza ed evitano la competizione tra diverse categorie di lavoratori; parificano "automaticamente" le lavoratrici del settore privato e pubblico e le donne agli uomini; danno risposta all'annoso problema dei lavoratori "precoci", che ricorrono più frequentemente al pensionamento di anzianità; impediscono alle imprese di ricorrere al pensionamento anticipato come facile mezzo per liberarsi di manodopera. Si può discutere su quali compensazioni offrire ai lavoratori in cambio di questi sacrifici, ma è indubbio che il metodo contributivo mette tutti - politici, parti sociali, singoli lavoratori e singole imprese - di fronte al fatto nudo e crudo che è dal lavoro e dalla crescita, e non già dalla redistribuzione politica, che si possono ottenere buone pensioni.
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TAG: Fisco

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