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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2010 alle ore 08:07.
Carlo Marroni
CITTÀ DEL VATICANO
È un vero allarme, quello lanciato ieri dai vescovi, contro ogni forma di federalismo fiscale che non tuteli i più deboli e mini alle basi la coesione nazionale. La Conferenza episcopale italiana nel documento preparatorio delle Settimane sociali si dichiara contro la «chiusura egoistica e identitaria di tipo territoriale» e la «centralizzazione burocratica dello stato nazione». E ribadisce una posizione chiara: va riconosciuta la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia.
È un documento di 30 pagine denso di contenuti programmatici quello che farà da base al tradizionale summit politico-sociale della Cei, che quest'anno si terrà in ottobre a Reggio Calabria. L'hanno presentato il "ministro del Welfare" della Cei, Arrivo Miglio (vescovo di Ivrea, presule assai vicino al segretario di stato, Tarcisio Bertone) e dai due artefici principali del "think tank" dei vescovi, Luca Diotallevi e Edoardo Patriarca. «Il criterio guida è chiaro - dice il documento - nei rapporti fra i territori debbono crescere il potere dei diversi livelli di governo e la loro responsabilità rispetto alle persone che vi abitano. Il sistema fiscale è l'architrave di questo processo, lontano dalle opposte ideologie della chiusura egoistica e identitaria di tipo territoriale e della centralizzazione burocratica dello stato nazione». Gli esponenti Cei, tra cui il portavoce Domenico Pompili, sono stati ben attenti a dare giudizi politici, ma è chiaro che il messaggio sembra mirato soprattutto alla Lega, con cui le gerarchie (specie quelle di Curia, per la verità) da tempo stanno coltivando un rapporto molto stretto. E infatti la Lega si fa sentire: il senatore Roberto Castelli si chiede «cosa bocciano? I decreti delegati non sono stati ancora scritti. Non capisco sulla base di quale fatto si possano esprimere delle critiche». Ma l'analisi è netta: «Al momento si prevedono dosi massicce di uniformità anche per i territori fiscalmente autosufficienti, rimettendo in moto un meccanismo centralistico che non fa crescere poteri e responsabilità». Insomma, per la Cei è opportuno avviare un percorso che consenta di meditare nuovamente sui dualismi e sulle differenze territoriali, «evitando gli effetti perversi di quello che viene etichettato come "federalismo per abbandono"». E sulla cittadinanza rincara: «Nella società italiana di domani i figli degli immigrati giocheranno un ruolo importante».