Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2010 alle ore 08:52. L'ultima modifica è del 13 maggio 2010 alle ore 19:48.
I governi stanno giocando al rilancio nella loro partita a carte con i mercati finanziari. Il pacchetto di aiuti che hanno annunciato la settimana scorsa è di proporzioni impressionanti. Ma il dubbio è se si tratti di qualcosa di più di una soluzione temporanea. La risposta è no. L'euro, così com'era stato pensato inizialmente, ha fallito. Potrà avere successo solo se verrà riformato radicalmente.
Qual è il piano? Primo, i governi europei hanno stanziato 500 miliardi di euro (440 di prestiti garantiti per i membri della zona euro in difficoltà e 60 per rimpinguare una facility per sostenere la bilancia dei pagamenti). Secondo, l'Fmi, a quanto sembra, metterà sul piatto altri 250 miliardi. Terzo, la Bce, con grande scorno del presidente della Bundesbank Axel Weber, ha deciso di acquistare i titoli di stato dei paesi membri sotto attacco. Infine, la Fed ha riaperto le linee di swap per garantire a banche straniere l'accesso a fondi in dollari. È una risposta dettata dal panico al panico del mercato. Torna in mente l'autunno del 2008. Funzionerà? Dando per scontato che venga ratificato, la risposta dovrebbe essere sì, ed è la conclusione a cui sono giunti i mercati. Diventerà molto più oneroso puntare contro la solvibilità di governi deboli. Il debito pubblico della zona euro è leggermente inferiore a quello statunitense rispetto al Pil. Se governi degni di fiducia decidono di sostenere quelli meno degni di fiducia, possono farlo, per il momento. Perché si è giudicato necessario un intervento tanto radicale? Dopo tutto, non è esattamente quello che avevano in mente i creatori della moneta unica. Torniamo agli albori dell'euro. Quel progetto si basava su tre presupposti di fondo: il primo era che i disavanzi di bilancio degli stati membri dovevano essere vincolati a determinati limiti fissati dai trattati; il secondo era che, qualora questi limiti non fossero bastati, sarebbe entrata in vigore la clausola del divieto di salvataggio; e il terzo era che col tempo ci sarebbe stata una convergenza delle economie dei diversi stati membri. Purtroppo, nessuno di questi presupposti si è dimostrato vero.