Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2010 alle ore 08:12.
di Serena Danna
Se mai avesse pensato di riparare in Italia per sfuggire alle critiche che gli piovono addosso da mezzo continente per i cambiamenti "anti-privacy" introdotti su Facebook, Mark Zuckerberg dovrà cambiare meta.
La proposta del governo per il «Codice di autodisciplina a tutela della dignità della persona sulla rete internet», idea lanciata dal ministro dell'Interno Maroni a dicembre «per selezionare già in partenza i contenuti non conformi al codice etico» sul web, è già sulla sua scrivania.
Le bozze definitive sono state presentate martedì agli operatori telefonici e agli internet provider. Il protocollo individua in quattro articoli le «procedure volte a contrastare l'uso illecito delle risorse internet fornite dai soggetti aderenti».
Fulcro del documento, l'introduzione di un marchio di qualità sui siti internet che, si legge nelle bozze, «può costituire una garanzia di rispetto dei principi fondamentali della libertà d'espressione e d'informazione» contro «l'uso malevolo delle informazioni e dei contenuti diffusi» attraverso la rete.
Il marchio si chiamerà «Internet mi fido» e i siti che decideranno di aderire al progetto dovranno pubblicare online «le linee guida alle quali l'utente sarà chiamato a conformarsi». Obbligo dei provider, se sottoscriveranno l'accordo, sarà quello di rimuovere contenuti illeciti, ovvero «quelli che incitano all'odio, alla violenza, alla discriminazione, ad atti di terrorismo, o che offendono la dignità della persona, o costituiscano una minaccia per l'ordine pubblico». Che tradotto vuol dire addio a un quarto dei gruppi presenti su Facebook. Dall'altro lato, il protocollo imporrebbe ai provider di fornire agli utenti «tutte le informazioni utili per poter avanzare eventuali reclami». Obiettivo del documento, come avviene già per la pubblicità, è quello di fornire a chi opera su internet regole e codici senza dover aspettare l'intervento della magistratura. Tuttavia gli «access provider» devono impegnarsi per assicurare «una tempestiva collaborazione con le autorità giudiziarie e le forze di polizia». Tra le novità più curiose, l'introduzione di un referente che operi come «punto di contatto con le istituzioni, le autorità giudiziarie e la polizia».
Su Twitter niente intrusioni
Su questo microblog è fondamentale la certezza dell'identità di chi scrive. Il servizio gratuito di social network fornisce agli utenti una pagina personale per messaggi di una lunghezza massima di 140 caratteri (praticamente un "cinguettio": Twitter deriva infatti dal verbo inglese to tweet, cinguettare), ma ha introdotto anche la verifica degli account. Questo perché in passato non sono mancati gli impostori. Tra i più famosi, un falso Steve Jobs e un falso Dalai Lama. La vera guida spirituale dei tibetani è invece entrata solo di recente nell'universo Twitter. Le traversie di Google
Nel febbraio di quest'anno il Tribunale di Milano ha condannato tre dirigenti di Google per diffamazione e violazione della privacy. La sentenza (la prima in questo campo) si riferisce a un fatto avvenuto nel 2006: i tre manager non avevano impedito la pubblicazione di un video in cui un ragazzo con sindrome Down veniva picchiato e deriso da quattro compagni di scuola in un istituto torinese (nell'immagine un fotogramma). Dure le reazioni di Google, che ha considerato la condanna un attacco ai principi di libertà sui quali si basa internet. Ladri d'identità su Facebook
Cantanti, attori, personaggi di spettacolo, imprenditori: difficile sfuggire ad ammiratori eccessivi o ignari burloni che rubano l'identità su Facebook, facendosi sommergere dai messaggi dei fan. C'è chi si è spacciato per Riccardo Luna, il direttore di Wired Italia; per Monica Bellucci (nella foto), Michelle Hunziker, Fiorello, Pippo Baudo, Carlo Verdone. Tra gli ultimi ad essere "clonati", il cantante Samuele Bersani. Il suo ladro d'identità ha raccolto in pochi giorni più di 21mila adesioni di fan.