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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2010 alle ore 12:45.
L'ultima modifica è del 15 maggio 2010 alle ore 14:23.
LONDRA – Se non è la polpetta avvelenata lasciata da Gordon Brown ci assomiglia molto. Il voto sulla nuova direttiva europea per la regolamentazione dei servizi finanziari rischia di diventare il primo serio scontro fra Londra e i partner.
I tentativi britannici di rinviare la decisione per lasciare tempo al nuovo governo di prendere le misure con una proposta che sbatte frontalmente contro gli interessi di hedge fund e private equity funds sembrano destinati al fallimento. È quanto sostiene il Financial Times che ha intervistato Elena Salgado il ministro delle finanze di Madrid, paese che ha la presidenza di turno dell'Ue.
Se il voto effettivamente avverrà martedì senza aver dato il tempo al nuovo esecutivo di David Cameron di studiare il dossier per cambiarne gli aspetti che Downing street ritiene troppo spigolosi, la direttiva andrà avanti lasciando Londra in una posizione di netta minoranza. L'80% circa dei degli hedge fund che operano in Europa hanno sede a Londra così come gran parte dei fondi di private equity e le misure europee, secondo molti analisti, rischiano di accelerare la fuga dalla capitale britannica già fiaccata dalla stretta fiscale imposta dal governo laburista.
Più dell'8% del pil inglese è prodotto da servizi finanziari di cui l'industria degli hedge è parte consistente. Era stato Gordon Brown, nei mesi scorsi, a chiedere a Bruxelles il rinvio del voto sulla direttiva a dopo le elezioni del 6 maggio sapendo che sarebbe divenuto oggetto di critiche e accuse in campagna elettorale. I partner accettarono il rinvio, ma ora non sarà più così. Elena Salgado è stata netta: «ASbbiamo la maggioranza qualificata sufficiente» per andare avanti.