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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2010 alle ore 09:20.
Alessandro Merli
Il rischio deflazione in Europa c'è. E se da un lato può aiutare i paesi oggi investiti più pesantemente dalla crisi a recuperare competitività, può però anche aggravare la situazione dei debitori. Per la Banca centrale europea, questo vuol dire nessun rialzo dei tassi d'interesse probabilmente fino alla fine del 2011. Alla Bnp Paribas, Luigi Speranza è il capo della ricerca sull'inflazione nell'Eurozona e non è stupito dai dati usciti ieri dalla Spagna, dove in aprile per la prima volta in 14 anni i prezzi, esclusi alimentari ed energia, sono calati.
«C'è un gruppo di paesi - dice Speranza - che comprende non solo Spagna, ma anche Portogallo, Slovenia e Irlanda, e in prospettiva la Grecia, dove per effetto dello shock provocato dalla crisi, l'economia è in recessione e quindi i prezzi subiranno pressioni al ribasso. La prima considerazione è che questo movimento dei prezzi può avere un effetto positivo: abbiamo detto che queste economie devono recuperare competitività e, in un'unione monetaria, dove è impossibile usare la leva della svalutazione, possono farlo solo con un calo dei prezzi».
La deflazione comporta però anche una serie di rischi. Il primo riguarda la aspettative che i prezzi possano continuare a scendere. Questo, secondo molti economisti, può frenare la ripresa, in quanto si rinviano le decisioni di spesa. «Forse in Spagna non ci siamo ancora - osserva Speranza - dato che l'opinione pubblica, almeno inzialmente, guarda soprattutto al dato complessivo dell'inflazione, e questa è cresciuta dell'1,5%». La deflazione però è grave in un paese di debitori, come la Spagna. «Se i prezzi scendono - dice l'economista - dato che il debito nominale è fisso, quello reale aumenta».
Le complicazioni più gravi rischiano però di colpire i conti pubblici, che faticosamente i governi di questi paesi, Spagna e Portogallo in testa, stanno cercando di rimettere in carreggiata con dolorose manovre fiscali. «La deflazione riduce il gettito fiscale - sostiene Speranza - e complica, politicamente, l'aggiustamento della spesa pubblica. Con un'inflazione positiva, la spesa può crescere, basta che lo faccia meno dell'inflazione. Con la deflazione, bisogna ricorrere a tagli anche nominali». Come hanno fatto i due paesi iberici con i salari pubblici. Inoltre, il rapporto debito/pil peggiora.