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Bruxelles stringe sui tagli

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2010 alle ore 08:09.

Dino Pesole
Tira un vento di austerità obbligata in Europa per sostenere, attraverso il rigore di bilancio, l'azione concentrica in difesa dell'euro decisa domenica scorsa dai ministri finanziari europei. L'altalena delle Borse dopo l'euforia di lunedì, il perdurante attacco alla moneta unica impongono un «supplemento di istruttoria» ai ministri dell'Eurogruppo che domani sera si riuniranno a Bruxelles, con la massima attenzione a non ingenerare effetti recessivi per effetto delle manovre di risanamento già poste in essere o in arrivo. Sarà la prima risposta collegiale al perentorio invito rivolto dal presidente dell'esecutivo comunitario José Barroso: «Non si può avere un'unione monetaria senza un'unione economica. I governi devono avere il coraggio di dire se la vogliono oppure no».
Il commissario agli Affari economici, Olli Rehn, attende già domani in serata una prima comunicazione dai ministri dell'Eurozona sui piani di rientro dal deficit e dal debito. Grecia, in primo luogo, Spagna, Portogallo, Irlanda ma anche l'Italia. Spetterà al ministro dell'Economia Giulio Tremonti illustrare gli obiettivi di medio termine contenuti nella «Relazione unificata economia e finanza» presentata la scorsa settimana. La ricognizione nel dettaglio del decreto da 25 miliardi, atteso per i primi di giugno, è rinviata al successivo vertice dei ministri finanziari, in programma a Lussemburgo il 7 e 8 giugno.
La discussione è sulla proposta presentata il 12 maggio dalla Commissione: una sorta di aggiornamento del Patto di stabilità all'insegna del rigore, soprattutto con riferimento al parametro del debito, che in media nell'Eurozona salirà dal 69,4% del 2008 all'88,5% nel 2011. La linea della commissione è che gli stati membri dovranno indicare in modo decisamente più cogente il percorso di riduzione, per non incorrere nella procedura per debito eccessivo. Si rischiano sanzioni che vanno da un deposito cauzionale nelle casse della Ue, alla sospensione dei fondi strutturali. La vigilanza ex ante potrà prendere le vesti di raccomandazioni ai paesi in cui sarà la Commissione a indicare le linee guida per le manovre di finanza pubblica, prima ancora che vengano sottoposte al vaglio dei rispettivi Parlamenti. Quest'ultimo passaggio appare come uno dei più controversi. La Francia ne ha già fornito, per così dire, un'interpretazione autentica: se ne può parlare - ha fatto sapere il ministro dell'Economia, Christine Lagarde - «a determinate condizioni». Tra queste, gli stati dovrebbero sottoporre i loro progetti di budget «ai membri del Consiglio riuniti nell'Eurogruppo». Meno diplomatico il portavoce del governo Luc Chatel: è il Parlamento «che vota il bugdet della nazione». Anche Germania, Gran Bretagna e Svezia hanno preso le distanze. Secondo il settimanale Der Spiegel, Berlino intenderebbe proporre un programma comune di riduzione del deficit.

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Tags Correlati: Borsa Valori | Christine Lagarde | Conti pubblici | Ecofin | Giulio Tremonti | Italia | José Barroso | Luc Chatel | Olli Rehn | Stati Membri

 

Per quel che riguarda l'Italia, la linea è di massima apertura alla discussione su quella che per ora è solo una proposta. Tremonti confermerà il percorso di rientro dal deficit: la manovra correttiva biennale punta a ridurre al 3,9% l'indebitamento netto, dal 5% del Pil atteso per fine anno. Nel 2012 si dovrebbe scendere al 2,7. Più impegnativo si annuncia il percorso di riduzione del debito pubblico. Stando al quadro programmatico aggiornato contenuto nella «Ruef», nel 2011 si dovrebbe toccare quota 118,7% del Pil, rispetto al 118,4% del 2010, mentre per il 2012 è previsto il 117,2 per cento. Stime che non tengono conto dell'impatto degli aiuti concessi alla Grecia (14,8 miliardi nel triennio, che saranno comunque "nettizzati" nel quadro del Patto di stabilità). Ogni eventuale accelerazione di questo percorso comportebbere in ogni caso un'azione di risanamento ancor più incisiva. Con il saldo primario (al netto degli interessi) a -0,4%, con gli interessi che pesano tra il 4,6 e il 4,9% del Pil, e con una pressione fiscale inchiodata al di sopra del 42%, non resterebbe che un'operazione draconiana sul fronte della spesa. È ipotizzabile una manovra di tal fatta con un Pil che crescerà quest'anno tra lo 0,6 e l'1 per cento? Non resta che agire con forza sul denominatore: la crescita.
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