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Via Padova mostra il lato più vivibile

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2010 alle ore 08:14.

di Carlo Giorgi
Avviso (preoccupato) alla città di Milano: con la cura attuale via Padova non guarisce; rischia invece, e seriamente, di peggiorare. È amara la diagnosi fatta dalle 50 realtà del "Comitato Vivere in zona 2", enti e associazioni di diverso orientamento politico che organizzano, il 22 e 23 maggio, la prima festa di via Padova, intitolata – con un filo di ironia – "Via Padova è meglio di Milano". Per due giorni parrocchie, enti culturali, scuole e associazioni di stranieri metteranno in mostra la ricchezza umana della zona più multietnica della città. Intorno ai quattro chilometri e mezzo dell'asse di via Padova ruota, infatti, un quartiere che conta abitanti di 75 nazionalità diverse, dove il 41,2% degli oltre 13mila residenti è di origine extracomunitaria.
Dopo gli italiani, la comunità più numerosa è quella egiziana (1.264 residenti, il 9,4% del totale), seguita da filippini (1.162) e cinesi (634). A febbraio, l'omicidio di un ragazzo egiziano da parte di un giovane latino-americano, ha indotto il Comune a imporre un'ordinanza che limita l'orario di apertura degli esercizi commerciali e aumenta i controlli delle forze dell'ordine. «La sicurezza è importante – osserva don Nicola Porcellini, della parrocchia di San Giovanni Crisostomo, l'unica delle sette chiese della zona ad affacciarsi sulla via –. Però oggi via Padova, con il coprifuoco e i controlli pressanti, sembra quasi un malato in stato di coma farmacologico… Noi che ci abitiamo, siamo in attesa di essere "risvegliati"; per guarire davvero, occorrono anche interventi più strutturati in ambito sociale». La parrocchia di don Nicola è una delle più multietniche di Milano: conta centinaia di fedeli di nazionalità filippina, srilanchese e provenienti dall'America Latina. «Facciamo incontri di catechismo apposta per la comunità boliviana, molto numerosa – racconta il sacerdote – e la metà dei chierichetti è di origine filippina. I nostri parrocchiani stranieri sono una ricchezza, il loro modo di vivere la fede potrebbe servire in fondo a rievangelizzare proprio noi italiani».
Nei locali della parrocchia è ospitata una famiglia rom rimasta priva di alloggio dopo uno sgombero; Caritas e centro di ascolto sono un aiuto per gli stranieri in stato di bisogno; l'oratorio – dove lavorano educatori professionali – un punto di osservazione importante sui disagi degli adolescenti di seconda generazione. Cuore della zona, per le attività rivolte agli immigrati e per la bellezza, è il Parco Trotter, polmone verde di 140mila metri quadri, che ospita la storica scuola Casa Del Sole. «Dei 900 bambini iscritti oltre il 50% sono stranieri di 26 nazionalità diverse – racconta Lella Trapella, presidente dell'associazione Amici del Parco Trotter –. Nonostante questo, oggi purtroppo la scuola può contare su di un solo facilitatore linguistico».

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Ogni anno scolastico vengono iscritti a scuola circa 40 bambini appena ricongiunti, che non parlano una parola d'italiano. Per loro e per le loro mamme l'associazione organizza attività di gioco e integrazione; una piccola biblioteca dove i volontari fanno letture animate, frequentatissima da alunni extracomunitari. «Gli stranieri dimostrano di apprezzare le nostre iniziative – spiega Trapella –, sanno che siamo volontari e ricambiano dandoci una mano. Nel quartiere però la nostra attività non è sufficiente. Chi si occupa di questi ragazzi quando escono di qui? C'è un urgente bisogno di centri culturali, educatori, strutture per i giovani». In fondo a via Padova, dopo il ponte della ferrovia, in un ex-magazzino di materiale elettrico di 400 metri quadri, è ospitato il Centro Culturale Islamico. Asfa Mahmoud, presidente del centro, nel 2009 ha ricevuto dal comune di Milano l'Ambrogino d'Oro per la sua attività volte a migliorare la convivenza.
«Ogni venerdì, per la preghiera, le tre sedi del centro accolgono circa 5mila musulmani di 50 nazionalità diverse – racconta Asfa –. Non tutti parlano arabo; per questo dal '93 gli imam che predicano da noi, devono farlo anche in italiano. All'inizio i fedeli ci criticavano; oggi se un imam non predica anche in italiano, protestano». Il Centro Islamico organizza corsi di lingua italiana e di lingua araba. Ma anche incontri per spiegare agli stranieri la Costituzione italiana, le leggi che regolano l'immigrazione, il corretto utilizzo degli uffici pubblici. «Dopo l'omicidio di febbraio abbiamo fatto i pompieri – dice Asfa – facendo di tutto per mediare e calmare gli animi. E siamo sicuri che il ruolo del Centro Islamico sia quello di diffondere un islam pacifico e non integralista. Ma le istituzioni devono essere presenti: il quartiere ha bisogno di strutture e interventi che facilitino l'integrazione. L'unica risposta non può essere quella dei controlli di polizia che, da soli, creano un clima d'assedio».
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