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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2010 alle ore 08:08.
Nel novembre del 1930, quando il ciclone della crisi esplosa un anno prima negli Stati Uniti con il crollo di Wall Street investì in pieno anche l'Italia, Mussolini aveva affermato: «Fortunatamente il popolo italiano non è ancora abituato a mangiare molte volte al giorno e, avendo un livello di vita modesto, sente di meno la deficienza e la sofferenza. Solo le classi superiori sono tremendamente egoiste e quando, invece di avere tre automobili, ne hanno soltanto due, gridano che il mondo sta per cadere».
Sebbene queste sue declamazioni populiste non fossero valse naturalmente a sopire le preoccupazioni degli operai (come avevano segnalato gli stessi sindacalisti fascisti) e nonostante che la situazione economica fosse andata peggiorando, il duce aveva continuato a battere nei mesi successivi su questo tasto: arrivando poi a dire che l'Italia non aveva nulla da temere, giacché «la nostra civiltà economica è lontana dalle aberrazioni del bolscevismo ma anche dalle insufficienze stradocumentate dell'economia liberale».
In realtà, da quando le principali banche, gravate da una massa d'immobilizzi in numerose imprese industriali, avevano cominciato a vacillare, Mussolini stava vivendo «ore d'angoscia», come avrebbero poi ammesso i suoi più stretti collaboratori. Non era infatti più possibile per i maggiori istituti di credito bussare cassa alla Banca d'Italia, e si sarebbe dovuto perciò scegliere fra il loro fallimento o la bancarotta dell'Istituto di emissione. Nel frattempo, il deficit del bilancio statale s'era moltiplicato di sei volte fra il 1930 e il 1934, e le risorse di gran parte dell'industria italiana s'erano ridotte al lumicino.
Felice Guarneri, allora a capo dell'Ufficio studi della Confindustria, annoterà in un suo libro di memorie: «L'organizzazione aveva resistito alla crisi di rivalutazione della lira del 1927, ma era arrivata, come tutto il complesso apparato economico nazionale, stanca e affaticata e appesantita alla vigilia della grande crisi e ora risultava gravemente ammalata e minacciava di franare». D'altronde, non era servito granché ai principali gruppi, per tenersi a galla, appigliarsi all'ancora dei consorzi e dei cartelli di settore di fronte della caduta della domanda.