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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2010 alle ore 08:07.
PARIGI - Riposa al cimitero di Montparnasse, a Parigi. Lontano dalla sua patria, l'Iran. E lontano da Teheran Shapur Bakhtiar fu pugnalato il 9 agosto 1991. Tre uomini si presentarono alla sua casa, a Suresne, un sobborgo della capitale francese. Bakhtiar, ultimo premier nominato dallo scià, in esilio dal 1979 a Parigi, li ricevette senza nulla temere. Loro, una volta all'interno, tirarono fuori dei coltelli da cucina: uccisero il domestico. E pugnalarono a morte l'uomo politico, che aveva 82 anni. Morì, in realtà, un'ora più tardi: una lunga agonia, solo, in un'enorme pozza di sangue. Durante il processo, quando si lesse il resoconto dettagliato del medico legale, il presidente della corte d'assise pretese che i figli di Bakhtiar, sebbene già maggiorenni, uscissero dall'aula.
Quell'efferato omicidio fu un vero shock per l'opinione pubblica francese: una storia che adesso ritorna a galla a pochi giorni dal rientro in Francia di Clotilde Reiss, imprigionata dalle autorità iraniane e poi rimasta chiusa per mesi nell'ambasciata francese di Teheran. Perché ieri, poco dopo le tre di pomeriggio, all'aeroporto di Orly ha preso posto in un volo Iran Air direzione Teheran Ali Vakili Rad, l'unico componente del commando che uccise Bakhtiar a essere finito nelle carceri francesi, condannato all'ergastolo. Giunto l'anno scorso alla fine dei 18 anni di reclusione, nei quali non poteva beneficiare di nessun sconto di pena, aveva chiesto la libertà condizionata. Questa è stata concessa proprio ieri dal tribunale di Parigi, due giorni dopo che la Reiss ha rimesso piede sul suolo patrio. «La giustizia è indipendente: non esiste alcun legame fra la liberazione della Reiss e la decisione di oggi, che è stata presa da un tribunale», si è difeso Bernard Valero, portavoce del ministero degli Esteri.
Ovviamente a Parigi non gli crede nessuno. L'avvocato Karim Lahidji, che rappresentò la famiglia Bakhtiar nel processo contro gli omicidi (gli altri due, condannati in contumacia, non furono mai catturati), ha sottolineato come la liberazione di Rad «rappresenti l'insuccesso di uno stato democratico di fronte a uno terrorista». Shapur Bakhtiar aveva un forte legame con la Francia. Ottenne un dottorato in scienze politiche alla Sorbona nel 1939. Negli anni successivi si unì alla legione straniera, per combattere contro i nazisti, in collaborazione con la resistenza. Nel 1946 ritornò in Iran e diventò stretto collaboratore di Mohammad Mossadeq. Con il ritorno dello scià, diventò oppositore del regime. Ma fu proprio Reza Pahlavi, in extremis, alla fine del 1978, a sceglierlo come primo ministro per salvare il salvabile. Bakhtiar si illuse di poter indirizzare l'Iran in piena rivoluzione verso una repubblica liberale di tipo democratico. Espulse lo scià. E accettò il rientro di Khomeini dall'esilio. Ma anche il suo governo cadde, il 10 febbraio 1979. Scappò in Francia. Per un decennio fu il riferimento dell'opposizione a Khomeini all'estero. Fino a quel caldo giorno d'agosto. Fino a quell'atroce mattanza.