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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2010 alle ore 11:28.
L'ultima modifica è del 20 maggio 2010 alle ore 14:38.
La lista Anemone non è stata mai consegnata alla procura di Roma. Né all'ex procuratore aggiunto Achille Toro, il cui coinvolgimento nell'inchiesta sui grandi eventi determinò il trasferimento degli atti alla procura di Perugia. Lo hanno ribadito ieri il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, e il comando provinciale delle Fiamme gialle della Capitale con due diverse note ufficiali. Una smentita che si è resa necessaria dopo gli articoli di stampa che citavano fonti secondo cui l'elenco dei 412 nomi fu consegnato ai pm di Roma già nel 2008, poco dopo il sequestro, avvenuto il 14 ottobre dello stesso anno. Secondo le medesime fonti, la procura avrebbe tenuto nel cassetto la lista per ben due anni. Notizie «prive di fondamento» replicano gli interessati. Ieri le Fiamme gialle hanno precisato che la lista non fu sequestrata nell'ambito delle indagini sui grandi eventi ma durante «una verifica fiscale tutt'ora in corso di svolgimento».
Oltre a quella di Perugia c'è un'altra indagine destinata a riservare ancora sorprese. Si tratta dell'inchiesta della Procura di Roma sull'eolico in Sardegna che coinvolge il governatore Ugo Cappellacci, indagato per abuso d'ufficio e corruzione. Le figure chiave dell'indagine sono il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, e l'imprenditore Flavio Carboni, entrambi indagati per corruzione. Gli accertamenti si stanno concentrando sulla movimentazione di 5 milioni di euro. Soldi prelevati in istituti di credito di San Marino per poi transitare, secondo quanto emerso finora, su conti di Carboni e del Credito cooperativo fiorentino, la banca di Verdini. A versare il denaro su conti riconducibili a Carboni sarebbero state diverse società italiane, tra cui un'azienda emiliana attiva nell'eolico off-shore, tutte interessate a investire nell'affare. Parte della provvista, per l'esattezza 800mila euro, sarebbe transitata sui conti aperti presso la banca fiorentina dalla Società toscana edizioni, proprietaria del Giornale della Toscana che conta tra gli azionisti proprio Verdini. Si sospetta che i soldi fossero destinati a oliare gli ingranaggi politici e burocratici necessari a ottenere nomine, licenze e concessioni.