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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2010 alle ore 08:13.
La guerra era appena cessata, il 25 aprile 1945, quando una missione guidata dai banchieri Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia era partita alla volta dell'America per ottenere qualche aiuto economico, ma era tornata a mani vuote. E il nostro ambasciatore Alberto Tarchiani aveva faticato a farsi ascoltare. D'altronde, a Washington si riteneva che l'Italia rientrasse nella sfera d'influenza della Gran Bretagna.
Ci si dovette accontentare solo dei soccorsi, per lo più in generi alimentari, dell'Unrra. Per il resto, mancando materie prime e combustibili, si era cercato di ripristinare i servizi pubblici essenziali. D'altronde, non si sapeva ancora quale sarebbe stata la sorte dei più grossi gruppi industriali privati. I loro massimi dirigenti, accusati di connivenza con il regime fascista, erano stati chiamati in giudizio dalla Commissione centrale di epurazione. E di alcune imprese, i socialisti, confidando nell'appoggio dei comunisti, chiedevano l'immediata nazionalizzazione. Tuttavia Togliatti aveva consigliato i suoi compagni di partito di andarci piano. C'era già una parte rilevante del sistema industriale sotto le insegne dello stato tramite l'Iri, per aggregarne altri spezzoni. Semmai si poteva pensare alle imprese elettriche. Ma «se per nazionalizzare la Fiat - aveva detto - dovessimo trasformarla in un'officina di stato con operai, impiegati e funzionari inquadrati come nei vari gradi dell'amministrazione pubblica, sarebbe una cosa sbagliata».
Di queste sue assicurazioni aveva fatto tesoro Valletta quando, appena prosciolto dalla Commissione d'epurazione, s'era presentato nel marzo 1946 davanti alla Commissione economica dell'Assemblea costituente: «Io ho prospettato agli americani l'opportunità che noi facciamo le piccole vetture, le 500 e le 1100, nonché tutto quello che possiamo far pagare meno. Lo si può fare sia per il mercato italiano, sia per quei mercati da cui gli statunitensi sono lontani e possono essere serviti meglio da noi».
Chi aveva le idee chiare fin da allora era anche il leader della Finsider Oscar Sinigaglia. «È necessario ammodernare l'industria siderurgica, quale base per l'industria meccanica, mettendola in grado di produrre acciaio e laminati agli stessi costi degli altri paesi più importanti». A sua volta, Enrico Mattei, che dopo essere stato uno dei capi militari per la Dc del Cln aveva assunto la guida dell'Agip scongiurandone la chiusura, era sicuro che si sarebbe rinvenuto del petrolio pure in Italia, e perciò evitato «di rimanere in ostaggio alle Sette sorelle». Avrebbe poi trovato nel 1949 del metano a Cortemaggiore e si cominciò così a contare su una nuova fonte energetica.