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Per l'Italia è un brusco risveglio

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2010 alle ore 08:10.

Secondo i recenti dati economici e le previsioni dell'Fmi, la crescita media annua del Pil italiano tra il 2008 e il 2011 sarà pari a -1 per cento. Questo dato ci pone al penultimo posto nella classifica dei 12 paesi dell'unione monetaria. Per quanto riguarda il saldo delle partite correnti (come percentuale del Pil), le cose non vanno molto meglio. La media annuale tra il 2008 e il 2011 ci pone al nono posto sui 12 paesi europei, sopra la Spagna, il Portogallo e la Grecia.
In altre parole, la bassa crescita del reddito che ha caratterizzato il nostro paese negli anni 90 e nel primo decennio di questo secolo non ci ha protetto dagli effetti della recessione mondiale. Il dato più concreto che possiamo ricavare dalle statistiche è che l'Italia, insieme agli altri paesi del Sud Europa, soffre di un grave deficit di competitività (aumento del costo del lavoro e bassa crescita della produttività) relativamente ai paesi dell'Europa continentale.
Appare dunque curioso che alcuni commentatori sostengano che l'Italia abbia resistito meglio di altri all'impatto della crisi mondiale. Per avvalorare questa tesi viene citato il basso indebitamento delle famiglie e la forza del settore manufatturiero. È certamente vero che il primo dato spiega una relativa stabilità del nostro sistema finanziario. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che le nostre imprese sono altamente indebitate e, anche per la dimensione limitata, soffrono in misura sproporzionata, in questo momento, della stretta sul credito. Inoltre, il livello del debito pubblico ci pone tra i paesi più a rischio. Se le turbolenze finanziarie di questi giorni provocheranno un aumento ulteriore dei differenziali tra i tassi dell'Eurozona, il nostro deficit ne risentirebbe fortemente.
Per quanto riguarda il manufatturiero, non è chiaro che questo sia un nostro punto di forza rispetto ai paesi concorrenti. Innanzi tutto, sembra per lo meno esagerata l'affermazione secondo cui i paesi che hanno avuto una maggiore crescita del Pil immediatamente prima della crisi, per poi subire una più grave recessione, siano caratterizzati da una bassa quota di manufatturiero. È senz'altro vero che la crescita del valore aggiunto nel settore finanziario verificatasi in Usa e nel Regno Unito negli ultimi vent'anni abbia contribuito alla crescita del Pil più che altrove. Tuttavia, anche il settore manifatturiero ha fatto la sua parte. La quota della produzione del settore in rapporto al Pil in Usa è rimasta sostanzialmente inalterata negli ultimi venti anni, intorno al 13 per cento.

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Viceversa, la quota di lavoro impiegata è diminuita costantemente, con una perdita di circa 5 punti percentuali dal 95 a oggi. In altre parole, la produttività del lavoro nel settore manufatturiero è aumentata in misura sostanziale. Questo è un chiaro indice di efficienza, difficilmente conciliabile con l'idea di una "debolezza economica" del settore secondario.
Tra il 1990 e il 2007, il valore del manufatturiero (in dollari) è cresciuto del 106% in Spagna, del 76% in Usa, del 65% nel Regno Unito, del 44% in Italia e del 18% in Germania. Nel 2006 la quota di valore aggiunto dell'industria in senso stretto (che esclude le costruzioni e la finanza) in Italia era appena tre punti sopra quella della Spagna, del Regno Unito e degli Usa (il 20% contro il 17% circa). In Francia, uno dei paesi che hanno resistito meglio alla crisi, tale quota non superava il 14,5 per cento. In ogni caso, la tesi secondo cui avere un'economia a intensità industriale sia stato un beneficio nella crisi del 2007-2008 è quanto meno controversa. La correlazione tra la crescita del Pil reale dei maggiori paesi industrializzati nel 2009 (l'anno peggiore della crisi) e la quota di valore aggiunto dell'industria in senso stretto del 2007 risulta negativa.
Il deficit di competitività dell'Italia ha una ragione facilmente spiegabile. Dal 1995 il nostro paese ha avuto un incremento della produttività del lavoro nettamente inferiore alla media Ocse. Fatta 100 la produttività del lavoro nel '95, l'Italia sale a 104,5 nel 2004, mentre gli Usa e il Regno Unito salgono, rispettivamente, a 125 e 119,5. Solo la Spagna ha fatto peggio di noi. Si possono avere pareri diversi circa la "qualità" dello sviluppo dei paesi industriali in questo decennio: quanto abbia pesato il boom immobiliare, la crescita dell'indebitamento delle famiglie e del settore finanziario. Tuttavia, il dato sulla produttività ha poco a che fare con queste considerazioni.
Le misure di contenimento del deficit che il governo si appresta ad adottare in questi giorni seguono dalla constatazione che un paese con un debito pubblico al 115% del Pil e una crescita attesa del reddito inferiore all'1% vive al di sopra dei propri mezzi. Un brusco risveglio per chi credeva che l'Italia fosse al riparo dalla crisi.

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