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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2010 alle ore 18:36.
Gli shabab, i fondamentalisti islamici somali legati ad al Qaida, hanno attaccato ieri sera il palazzo del presidente della Somalia e altre sedi governative nei quartieri settentrionali di Mogadiscio e per ora sono stati fermati solo grazie all'intervento armato dei soldati delle forze di pace dell'Unione Africana: gli uomini della missione internazionale Amison hanno affiancato i soldati governativi.
L'offensiva dei ribelli
Solo poche ore dopo che la comunità internazionale e l'Onu avevano ribadito il proprio sostegno al governo di transizione somalo, gli integralisti hanno dato il via ad una sanguinosa offensiva contro le sedi del potere ufficiale nella capitale: ancora una volta si è scatenato il caos, centinaia di civili sono fuggiti dalle loro case, una ventina sono stati uccisi, almeno 30 feriti. I ribelli islamici controllano già la maggior parte della Somalia e della capitale. Assente il presidente Sheik Sharif Ahmed - a Istanbul proprio per sollecitare il sostegno (che ha ottenuto) dell'Onu al suo fragile governo creato nel gennaio dell'anno scorso - i miliziani hanno deciso di tentare un'ulteriore avanzata verso il cosiddetto 'Kilometro Zero', strategico incrocio la cui conquista aprirebbe la via verso il porto di Mogadiscio.
Caschi blu respingono l'attacco
L'attacco è stato condotto in forze, con armi pesanti e intervento della contraerea. Proiettili d'artiglieria hanno colpito zone residenziali nei dintorni del quartiere di Shibis e del mercato di Bakara. Da ciò l'intervento armato dei soldati ugandesi e burundesi dell'Amison. Un intervento necessario, «perché noi siamo qui per proteggere le istituzioni governative - ha spiegato un portavoce dell'Unione Africana - Questo è il nostro mandato. E questo intendiamo fare. C'è una linea rossa che dobbiamo difendere, una linea oltre la quale i ribelli non devono andare».
Vittime civili: colpita una casa
Diverso il bilancio degli scontri da parte delle forze in campo. Secondo gli shabaab, «sono stati uccisi decine di nemici» e «le loro postazioni nella notte sono cadute nelle nostre mani». Secondo l'Unione Africana i ribelli sono stati respinti con perdite.
L'unica certezza è che, ancora una volta, i combattimenti hanno fatto altri morti, feriti e sfollati tra la già devastata popolazione civile. Testimonianze concordi affermano che tra gli uccisi vi sono cinque persone di una stessa famiglia: la loro casa è stata colpita in pieno da un colpo di mortaio. A centinaia fuggono abbandonando tutto. «Non si può restare con questi continui bombardamenti d'artiglieria - dice un uomo mentre si prepara ad andarsene - Molti sono morti. Se non partiamo, anche noi moriremo».