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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2010 alle ore 08:09.
A meno di ripensamenti dell'ultimo minuto, il taglio agli stipendi dei manager pubblici ci sarà, e farà parte di un più ampio sistema di norme tutte rivolte ad alleggerire la busta paga dei vertici delle amministrazioni. Un taglio del 10% è previsto per lo stipendio accessorio di chi lavora negli uffici di diretta collaborazione dei ministri, e trova conferme anche la riduzione del 5% ai fondi per la retribuzione di posizione variabile, che colpirebbe i dirigenti a prescindere dall'entità dello stipendio; la scure si abbatterà anche sugli organi collegiali e sui commissari straordinari, e i dirigenti potrebbero anche perdere i permessi per l'assistenza ai disabili previsti dalla legge 104 del 1992.
I dubbi di costituzionalità, sollevati dai diretti interessati e rilanciati dai sindacati di categoria, non sembrano per ora fermare il governo nella spinta a quella che è diventata subito una delle norme-simbolo della manovra dell'austerità. È certo, però, che una volta approvata la disposizione alimenterà il contenzioso. L'alternativa potrebbe essere quella di provare la strada del tetto agli stipendi, tentata già in passato.
Il meccanismo è confermato, e prevede una sforbiciata del 10% alla quota di stipendio che supera una certa soglia, fissata a 100mila o 75mila euro; nella prima ipotesi, la stretta potrebbe arrivare a colpire intorno alle 20mila persone, fra dirigenti di I fascia delle amministrazioni centrali, dirigenti locali (soprattutto in regione, nei grandi comuni e ai vertici di strutture sanitarie), magistrati e qualche professore ordinario. Con la soglia più bassa, entrerebbero in gioco anche molti dirigenti di seconda fascia e buona parte delle 80mila persone che nella Pa porta le stellette (esclusi settori come la scuola, dove gli stipendi sono più leggeri) potrebbe essere chiamata a pagare dazio. A quanto si apprende, una clausola di salvaguardia dovrebbe però evitare impatti previdenziali grazia alla contribuzione figurativa.
La richiesta, ovviamente, dipende dall'entità dello stipendio. Nella tabella a fianco si fanno i conti in tasca ad alcuni redditi reali, messi a disposizione dalle amministrazioni nell'ambito dell'«operazione trasparenza» imposta dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Le cifre sono reali ma solo esemplificative, perché ai livelli dirigenziali la retribuzione è costruita ad personam a seconda della posizione e delle responsabilità ricoperte. In cima alla piramide degli stipendi pubblici si incontrano le authority, dove si può arrivare a guadagnare anche 427mila euro se componenti e 513mila se presidenti. A quei livelli il dibattito sulla soglia da fissare a 75mila o 100mila euro può essere guardato con distacco, perché in entrambi i casi la quota eccedente è imponente e il conto finale si attesta sempre sopra i 30mila euro per il componente dell'authority e sopra i 40mila per il presidente. Al vertice di un grande ministero la retribuzione può toccare i 273mila euro (e il taglio oscillare fra 17mila e 19mila a seconda della soglia), mentre tra i dirigenti di seconda fascia i livelli più alti si incontrano negli enti pubblici non economici (Inps, Inpdap, Istat eccetera), dove anche i dirigenti di II fascia saranno colpiti dalla stretta. Anche negli enti territoriali, però, le voci che si rincorrono spingono molti a fare i conti. Il capo dell'ufficio di gabinetto di un'importante regione può veder scendere le proprie entrate da 211mila a 197mila euro, e ai piani alti della gerarchia dei grandi comuni c'è chi dovrà rinunciare a cifre dai 500 ai 4mila euro. (G.Tr.)