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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2010 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 27 maggio 2010 alle ore 08:02.
Lina Palmerini
ROMA
«Inutile inventare pretesti e scuse. La manovra è l'esito sbagliato di due anni di politiche sbagliate». Dalla Cina Pier Luigi Bersani spara a zero sulla correzione dei conti messa a punto dal governo. «Una manovra concepita così – prosegue il segretario del Pd – ancora una volta non ci darà né riforme né crescita né equilibrio della finanza pubblica. Ancora una volta il prezzo sarà pagato dai redditi medio bassi e dagli investimenti».
Ma il primo a replicare a Silvio Berlusconi ieri è stato Enrico Letta. È quell'accusa alla sinistra di aver creato un buco nei conti con la riforma del Titolo V a richiamare l'orgoglio rigorista. «Siamo noi che abbiamo sempre risanato i conti e la destra ha sempre creato i buchi», rispondeva Letta poco prima di andare alla riunione dei parlamentari Pd. Un incontro deciso in tutta fretta, nonostante l'assenza di Bersani, per mettere a punto delle proposte alternative alla manovra e dotarsi di una voce unica mentre cominciavano a fiorire le prime divisioni. Il problema del Pd è il solito: ritrovarsi stretto tra le aperture di Casini e il "no" senza se e senza ma di Di Pietro. Il partito cerca così la sua terza via anche rispetto alla spaccatura delle forze sociali, tra lo sciopero generale della Cgil e i sì condizionati di Cisl e Uil, di Confindustria e della rete delle Pmi.
È stato questo il dibattito tra i parlamentari Pd guidato da Enrico Letta che è stato il primo a chiedere al Governo – e ieri l'ha ripetuto – di non mettere la fiducia sulla manovra per consentire al Pd lo spazio di una battaglia parlamentare e «rendere possibile un giudizio articolato tra "sì" e "no" anche alla luce dell'appello di Napolitano». Il giudizio resta negativo ed è scontato che il voto finale sarà contrario ma intanto quella terza via diventa una via parlamentare fatta di "sì" e "no" come si leggeva nel documento che Letta ha presentato nella assemblea dei deputati. La battaglia sarà sull'equità, sulla richiesta di riforme strutturali per la spesa e per la crescita mentre sarà scontro duro sui tagli sugli enti locali «che compromettono il federalismo fiscale» e sul condono mascherato che «è uno dei punti chiave della manovra». Si profila invece un appoggio sul taglio ai costi della politica e sulle misure anti-evasione.