House Ad
House Ad
 

Notizie Italia

Le tre Italie industriali degli anni 80

Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2010 alle ore 08:01.

«Le tre Italie». Questa la mappa dell'universo industriale che andò configurandosi negli anni 80. Da un lato, il tradizionale "triangolo" del Nord Ovest; dall'altro un'ampia costellazione di ciminiere e capannoni, estesa dal Triveneto all'Emilia e alle Marche; infine, una serie di stabilimenti, a "macchia di leopardo", dall'Abruzzo alla Puglia, dalla Campania alla Sicilia. Ma ancora forti erano i divari fra queste tre aree in termini di risorse finanziarie, articolazioni manifatturiere, occupazione e produttività.

La principale novità stava comunque nel fatto che tendeva a irrobustirsi sempre più quella componente industriale situata lungo la fascia adriatica e nell'entroterra padano. Non a caso, perciò, al vertice della Confindustria si susseguirono dal 1980 al 1988 il marchigiano Vittorio Merloni e il bresciano Luigi Lucchini.

«Per dieci anni il profitto è stato vilipeso, il lavoro mortificato, l'efficienza svalutata», aveva detto Merloni nel maggio 1980, nel suo primo discorso all'Assemblea confederale. Ma se negli anni successivi i salari cessarono di essere "una variabile indipendente" e l'industria assunse infine un passo spedito, lo si dovette soprattutto all'introduzione nei principali complessi di nuove tecnologie e procedure organizzative, tali da accrescere le potenzialità degli impianti e da rendere più efficienti i vari congegni dell'impresa, dalla progettazione alla produzione, al marketing. E ciò in virtù sia di un'automazione più spinta, resa possibile dalla robotica e dall'elettronica, sia della divisionalizzazione della struttura aziendale, congegnata su basi orizzontali e non più verticali.

Che facesse scuola o meno il modello giapponese, sta di fatto che, mentre il lavoro "a catena" venne reso più flessibile, l'interrelazione fra i vari reparti risultò più funzionale, e i meccanismi decisionali interni meno complessi per via di più ampie deleghe di competenze e responsabilità dall'alto ai livelli intermedi. Inoltre, una parte della produzione venne decentrata a imprese minori, in modo da ridurre i costi della manodopera e quelli generali. E ciò concorse alla moltiplicazione di tante piccole imprese. Esemplare a questo riguardo la vicenda di un maglificio di Carpi, il cui titolare riferiva nel gennaio 1980, in un'intervista a «Panorama», come, da "insegnante insoddisfatto", si trovasse adesso trasformato in un imprenditore affermato, dopo aver deciso vari anni addietro, «d'accordo con la moglie, dalla sera al mattino», di cambiar mestiere. Anche perché «i capitali da investire non furono un problema: ci bastarono una bilancia, due pacchi di lana e un po' d'iniziativa per affidare il lavoro a domicilio» e poi far da sé.

L’articolo continua sotto

L'accordo di San Valentino

Il 14 febbraio 1984 il governo Craxi sottoscrisse con Uil e Cisl il cosiddetto "accordo di San

L'accordo di San Valentino

Il 14 febbraio 1984 il governo Craxi sottoscrisse con Uil e Cisl il cosiddetto "accordo di San

Tags Correlati: Alfa Romeo | Bruno Visentini | Carlo De Benedetti | Confindustria | Eni | Fiat | Franco Reviglio | Investimenti delle imprese | Italia | Luigi Lucchini | Montedison | Olivetti | Romano Prodi | San Valentino | Vittorio Merloni

 

Certo, numerosi opifici più piccoli continuavano non solo ad assorbire nuove frange di popolazione lavorativa (giovani, donne, anziani) disposte ad accontentarsi di remunerazioni più basse, ma impiegavano anche all'occorrenza quanti erano interessati a integrare i loro redditi con un doppio lavoro, svolto in forme saltuarie e tale quindi da non comportare oneri fiscali e sociali.

Per la Confindustria, soltanto una revisione dei meccanismi della scala mobile avrebbe consentito di ridurre l'area del "lavoro nero". Era stato perciò salutato come un passo importante il cosiddetto "decreto di San Valentino" emanato il 14 febbraio 1984 dal governo Craxi, per un taglio di tre punti della contingenza sui dodici previsti per quell'anno. Il resto sarebbe venuto poi, nel corso del mandato presidenziale di Lucchini, durante il quale si sarebbe giunti a parlare persino di un "secondo miracolo economico". E questo perché nel 1986 avvenne, in termini sia di Pil che di prodotto pro-capite, il "sorpasso" dell'Italia nei confronti della Gran Bretagna: così che il nostro Paese giunse a figurare come "quinta potenza" industriale del mondo occidentale.

A quella data l'industria assicurava il 38% del reddito, nazionale; e se il totale dei suoi addetti si era nel frattempo ridotto, erano invece cresciuti investimenti in impianti e attrezzature. D'altra parte, il rilancio del sistema industriale era avvenuto grazie anche a varie iniezioni pubbliche.

Tuttavia, erano notevoli i progressi realizzati grazie alla vitalità di numerose piccole-medie imprese nonché alla realizzazione, nelle principali aziende, di produzioni più specializzate e di joint-venture con imprese estere.
Insieme alla Olivetti di Carlo De Benedetti e alla Montedison passata al gruppo Ferruzzi-Gardini, nonché alla ripresa in forze dell'Iri e dell'Eni (presieduti rispettivamente da Romano Prodi e da Franco Reviglio), erano rifiorite le fortune di altri grossi complessi. Ed era intanto tornata in auge la stella della Fiat in seguito alle notevoli fortune di una vettura come la Uno, lanciata sul mercato nell'83, e all'acquisizione nel novembre '86 dell'Alfa Romeo in competizione con la Ford. Osservava a quest'ultimo riguardo Bruno Visentini: «Certamente l'affare è stato molto positivo per l'Iri, che si è liberato di perdite che superavano ormai largamente il mezzo miliardo di lire al giorno. In questa situazione l'affare era certamente positivo per il venditore e poteva essere positivo anche per l'acquirente, soprattutto se fosse stata la Ford: ed era quindi preferibile un'impresa italiana».

Anche per via di una serie di partecipazioni di maggioranza del Gruppo torinese in svariati settori, la sinistra continuava a denunciare lo «strapotere della Fiat di Romiti». Ma di lì a qualche tempo, al volgere degli anni 80, pure per la Fiat - come avrebbe detto l'Avvocato - sarebbe "finita la festa", l'euforia dell'ultimo triennio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Da non perdere

L'esempio di Baffi e Sarcinelli in tempi «amari»

«Caro direttore, ho letto (casualmente di fila) i suoi ultimi tre memorandum domenicali. Da

L'Europa federale conviene a tutti

Ho partecipato la scorsa settimana a Parigi a un incontro italo francese, dedicato al futuro

Non si può privatizzare la certezza del diritto

In questa stagione elettorale, insieme ad un notevole degrado, non solo lessicale, ma anche di

Le sette criticità per l'economia Usa

Quale futuro si prospetta per l'economia degli Stati Uniti e per quella globale, inevitabilmente

Sull'Ilva non c'è più tempo da perdere

La tensione intorno al caso dell'Ilva non si placa. Anzi, ogni giorno che passa – nonostante i

Casa, la banca non ti dà il mutuo? Allora meglio un affitto con riscatto. Come funziona

Il mercato dei mutui in Italia resta al palo. Nell'ultimo mese la domanda di prestiti ipotecari è


Jeff Bezos primo nella classifica di Fortune «businessperson of the year»

Dai libri alla nuvola informatica: Jeff Bezos, fondatore e amministratore delegato di Amazon,

Iron Dome, come funziona il sistema antimissile israeliano che sta salvando Tel Aviv

Gli sporadici lanci di razzi iraniani Fajr-5 contro Gerusalemme e Tel Aviv costituiscono una

Dagli Assiri all'asteroide gigante del 21/12/2012, storia di tutte le bufale sulla fine del mondo

Fine Del Mondo, Armageddon, end of the World, Apocalypse? Sembrerebbe a prima vista roba da