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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2010 alle ore 09:10.
L'ultima modifica è del 27 maggio 2010 alle ore 09:00.
Sforziamoci di immaginare come saremo tra dieci anni, ha detto ieri il presidente dell'Istat: potremmo scoprire che sui giovani di oggi grava un impegno straordinario e difficilissimo. Da un lato, infatti, ci sono gli squilibri strutturali di finanza pubblica legati al progressivo invecchiamento della popolazione italiana, che graveranno sulle spalle di chi ora ha meno di trenta anni. Dall'altro, la crisi ha accresciuto la durezza della questione giovanile in Italia, mentre ben due milioni di giovani, più di un quinto della fascia under 29, sono oggi identificabili con l'acronimo Neet (Not in education, employment or training).
Sono ragazzi che non studiano né lavorano e sono inattivi, anche perché in Italia non si scommette abbastanza sul capitale umano. Investire molto sui giovani, sulla loro formazione scolastica e professionale è essenziale, cosi come sarebbe essenziale disinnescare la bomba previdenziale. Altrimenti, tra qualche settimana, quando i leader dell'Unione Europea si troveranno per approvare la strategia Europa 2020 «per una crescita economica sostenibile», firmeranno solo un altro libro dei sogni.