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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2010 alle ore 08:37.
NEW YORK - Sicurezza in cambio di leadership e leadership in cambio di concessioni: l'America di Obama cerca la strada del compromesso, della cooperazione per impostare la sua "Strategia per la Sicurezza Nazionale", perché oggi, nel nuovo contesto globale, «nessuno può farcela davvero da solo». È questo il messaggio di fondo che il presidente americano Barack Obama ha presentato ieri al Congresso, in modo formale, in un documento di 52 pagine "National Security Strategy" che per la prima volta illustra in modo completo e articolato la visione di politica estera di questa amministrazione.
Ci sono molte promesse, di quelle che la gente, e soprattutto gli alleati, vogliono ascoltare, ma c'è anche una contropartita molto chiara: se gli Stati Uniti fanno un passo indietro, gli altri dovranno fare un passo in avanti, prendersi le responsabilità che spettano loro anche in materia di contributi militari oltre che finanziari. Una contropartita che potrebbe essere piuttosto cara visto che in realtà, dietro le parole e le promesse, di fatto gli Stati Uniti restano unica superpotenza e non esiteranno a usare il massimo della propria forza se lo riterranno necessario. Il presidente ha ripreso alcune tematiche su cui si era già pronunciato. Ad esempio il ripudio della dottrina dell'attacco preventivo che ha annunciato nel discorso di laurea che ha tenuto sabato scorso all'Accademia Militare di West Point. Ma questa volta ha cercato di legare spunti diversi in un unico contesto che prende le distanze, almeno sulla carta in modo netto, dalle posizioni più dure di George W. Bush, con un obiettivo, porgere un ramoscello d'ulivo al resto del mondo.
È partendo dalla tesi dell'apertura che Obama fa discendere due altri princìpi: poggiare sempre più sulle istituzioni multilaterali come luoghi per cercare soluzioni diplomatiche e non necessariamente per ottenere autorizzazioni per andare sul piede di guerra (che peraltro Bush riteneva di non dover neppure chiedere); il ripudio dell'arroganza in cambio del dialogo. Da questi principi ne discendono molti altri, tutti impostati secondo l'approccio del "politically correct" tanto poco amato da Bush che preferiva entrare in modo dirompente e forse sgraziato in qualunque argomento.