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Se il caro leader mette paura all'iPad

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2010 alle ore 08:03.

Marco Magrini
Ventisei dollari al mese possono salvare una vita? Chissà, forse a Shenzhen, uno degli epicentri del boom industriale cinese, è anche possibile. Quantomeno, dev'esserne convinto Terry Gou, tycoon di Hon Hai, il colosso taiwanese che controlla la Foxconn e la sua fabbrica-città da 300mila addetti, alle porte di Shenzhen. Perché, dopo dieci suicidi da inizio anno – apparentemente più incoraggiato dai clienti Apple, Dell e Hp che non dalla propria coscienza – ha annunciato ieri un aumento di stipendio del 20% a tutti i dipendenti. Ovvero, 26 dollari al mese in più.
Potrebbe il tiranno della Corea del Nord, un paese isolato dal mondo dove nessuno avrà mai un iPad, mettere in ginocchio il mercato dell'elettronica di consumo? Chissà, forse la sinistra e incomprensibile strategia di Kim Jong Il non tiene conto che un eventuale conflitto con la Corea del Sud taglierebbe gli approvvigionamenti mondiali di memorie Ram e schermi Lcd. Eppure sarebbe una ricaduta inevitabile, ancorché dalla visita del premier cinese Wen Jiabao a Seul, si capisce che il dittatore non ha il permesso di Pechino per giocare alla guerra.
Gli americani sono soliti scherzare (con malcelato disappunto) sul fatto che non esista più un produttore nazionale di W.C.: vengono dalla Cina anche quelli. Ma con l'elettronica non c'è molto da scherzare: viviamo nell'era dell'Informazione e i semiconduttori governano il microcosmo digitale che ci circonda.
Tutto comincia nel 1981, quando la Ibm – cinque anni dopo la Apple – si butta nel business dei personal computer senza crederci. O, quantomeno, considerandolo un mestiere laterale e non strategico. Difatti, compra il sistema operativo da Microsoft (trasformando involontariamente un Davide in un Golia) e delega la produzione a ignoti fornitori asiatici. Nasce così una nuova categoria industriale, battezzata Ems (electronic manufacture service), che si occupa di assemblare prodotti su commissione degli Oem (original equipment manufacturer), come Apple, Hp o Dell.
Foxconn è il più grande Ems del mondo. Basti dire che fattura 61 miliardi di dollari e ha 498mila dipendenti, di cui 300mila solo nella città-fabbrica di Shenzhen, dove è andata in scena quell'inspiegabile catena di suicidi. È bastato che quelle tre società, le più grandi produttrici americane di elettronica, avviassero delle indagini conoscitive, per innescare un aumento salariale senza precedenti, almeno in termini percentuali. La Apple in particolare, per via del regime di segretezza assoluta che impone sui propri prodotti – e che trova l'applicazione perfetta nelle fabbriche-dormitorio cinesi, dove nessuno può uscire con una vite in tasca – ha pensato bene di muoversi per prima: la catena di morti è cominciata l'anno scorso a luglio, quando una dipendente di Foxconn si è tolta la vita dopo essere stata accusata di aver trafugato il prototipo di un nuovo iPhone.

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Tags Correlati: Amazon | Cina | Corea del Sud | Foxconn | Hardware | Hewlett Packard | Kim Jong Il | LG Electronics | Microsoft | Nintendo | OEM | Terry Gou | Wen Software

 

Di prototipi, alla Foxconn, ne devono girare parecchi. Tanto per dare un'idea, l'azienda di Terry Gou produce le Playstation della Sony, le Wii di Nintendo e le xBox di Microsoft, più gli iPod, iPhone e iPad di Apple, i telefoni di Motorola e i Kindle di Amazon. A conti fatti, Foxconn, insieme alla Flextronics di Singapore e agli altri Ems nordamericani (come Sanmina, Celestica e Jabil) che però hanno in Asia i loro principali stabilimenti produttivi, sono di fatto i veri protagonisti dell'industria mondiale dell'elettronica di consumo. Non foss'altro perché, dopo il rampante avvio con il Pc di Ibm – quando gli anonimi costruttori asiatici conquistarono il mondo con i "cloni" a basso prezzo – gli Ems hanno cambiato pelle. Oggi sono in grado di produrre parti, di fornire servizi post-vendita e in qualche caso perfino di disegnare nuovi prodotti da zero.
Aggiungiamo pure che la sucoreana Samsung ha spodestato la Sony dal podio di prima azienda mondiale dell'elettronica con un predominio in alcuni segmenti di mercato (come le memorie Flash del nuovo iPad). Poi aggiungiamo che la connazionale LG Electronics è leader al mondo negli schermi a cristalli liquidi, e l'equazione è fatta: l'Asia, con la competitività della sua forza lavoro, con l'imprevedibilità di certi suoi regimi politici, non sarà forse l'anima della moderna società dell'informazione. Ma è di certo il suo motore.
«Designed in California, assembled in China», c'è scritto dietro gli iPad. Gli addetti ai lavori sospettano che non andrà avanti a lungo così: molti gruppi asiatici, e in particolare quelli cinesi come Haier e Hisense, hanno la comprensibile aspirazione di diventare la prossima Samsung. E intanto, fra i costruttori a contratto come Foxconn, si coltiva il sogno di far spuntare un giorno il proprio marchio e abbandonare il "conto terzi".
Ben difficilmente il lavoro forzato a Shenzhen, la minaccia nordcoreana, i disordini in Thailandia o l'eterna tensione sui destini di Taiwan, potranno ostacolare l'avanzata della società digitale. Qualche rischio però, c'è.
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