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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2010 alle ore 08:03.
SHANGHAI - Il pallino della crisi coreana si sposta nelle mani della Cina. Ieri Wen Jiabao è arrivato in Corea del Sud, prima tappa di una trasferta asiatica che nei prossimi giorni lo condurrà anche in Giappone, Mongolia e Birmania. Il premier cinese è il primo capo di stato straniero a sbarcare a Seul dopo la violenta crisi politico-militare innescata dall'affondamento della corvetta Cheonan da parte di un sottomarino nordcoreano. Sotto il profilo diplomatico, quindi, si tratta di un viaggio di un'importanza cruciale per placare i nuovi venti di guerra sul 38° parallelo.
«Non proteggeremo i responsabili di questa azione criminale» ha detto ieri Wen parlando con il presidente sudcoreano, Lee Myung-bak. La Cina esprimerà sulla vicenda un giudizio «equilibrato e obiettivo sulla base dei fatti» ma prima vuole vederci chiaro. Mentre gli Stati Uniti hanno preso subito posizione contro Pyongyang, i cinesi finora hanno fatto da spettatori alla crisi coreana. Pechino, infatti, non ha ancora accettato ufficialmente le conclusioni dell'inchiesta condotta sull'affondamento della Cheonan da una commissione d'inchiesta internazionale (della quale Cina e Russia non hanno fatto parte).
«Prenderemo atto dei risultati delle indagini» ha detto Wen, celando un certo disappunto per l'esclusione degli esperti cinesi. Dopo di che, Pechino dirà la sua. «La Cina condanna qualsiasi azione destinata a minare la pace e la stabilità della Penisola coreana» ha concluso Wen. Soprattutto la Cina dirà cosa intende fare per punire l'ennesimo colpo di testa di Kim Jong-Il. Un colpo di testa che, sostengono fonti di intelligence, avrebbe irritato Pechino come mai prima in passato. Grazie a un'abile azione di soft-power, negli ultimi anni la Cina è riuscita a smarcare gradualmente il nord-est asiatico dal ferreo controllo stabilito dagli Stati Uniti sulla regione dopo la seconda guerra mondiale.
L'ascesa al potere in Giappone del pacifista Yukio Hatoyama rientra tra le operazioni fortemente sponsorizzate da Pechino tramite canali occulti. Ma le azioni destabilizzanti promosse dalla Corea del Nord negli ultimi due anni hanno finito per rovinare tutto. Lo dimostra la recente decisione di Hatoyama di lasciare la base militare americana a Okinawa che ieri a Tokyo ha portato alle dimissioni del ministro, Mizuho Fukushima, che avrebbe voluto rispettare la parola presa dal governo in campagna elettorale. «La Cina e la Corea del Nord sono vicine come i denti alle labbra» usava dire Mao Tse-tung. Dai primi anni 50, quando il "grande timoniere" fornì un sostegno decisivo alle armate nordcoreane nella guerra civile contro la repubblica del sud, l'alleanza tra Pechino e Pyongyang non è mai stata in discussione. Ma ora la misura potrebbe davvero essere colma. Il che significa che, sebbene oggi come mezzo secolo fa Pechino abbia lo stesso interesse a mantenere la Corea del Nord nella sua sfera d'influenza, la Cina ora potrebbe muovere un passo concreto per stroncare le folli velleità di potenza del regime di Pyongyang.