Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2010 alle ore 08:01.
Mario Platero
NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Steve Jobs il poliedrico, l'antipatico, il messia: quando un uomo lascia una impronta così decisa nella storia del nostro costume a livello globale è vero tutto e il contrario di tutto. Su due punti, uno positivo e l'altro negativo ci si trova d'accordo: l'uomo ha da una parte un grande senso della “Missione”, dall'altro un po' di spocchia. Perde le staffe facilmente, è teso nei rapporti emotivi o personali. Una volta rifiutò malamente di firmare un autografo a una persona con cui aveva parlato per mezz'ora. Il mensile Fortune lo ha definito un “megalomane”. Tre sue biografie, di cui una autorizzata, di Mike Moritz, “The Little Kingodom”, raccontano episodi in cui si denotano difficoltà ad esercitare un certo tipo di leadership, quella dell'incontro ravvicinato, magari con i dipendenti che riconoscono il carisma del capo ma soffrono per le angherie.
Jobs è un grande leader invece nell'immaginario del cyberspazio, per le masse, per quel miliardo di persone che lo giudica in astratto un genio. I geeks, i fanatici del digitale invece, non lo sopportano. Tempo fa, in uno dei momenti in cui ha cercato il rapporto diretto, ha risposto a una email di Ryan Tate un giornalista del blog Gwaker, uno dei più seguiti nel settore. Il dialogo è durato un'ora e mezzo è stato civile. O meglio Tate era aggressivo, metteva in dubbio che Apple o l'Ipad fossero simboli di libertà. Ha affrontato questioni come la privacy che Jobs rivendica di proteggere e provocava Jobs, che adora la musica e Bob Dylan, dicendo che Dylan oggi non accetterebbe il termine “rivoluzione” per descrivere, come era avvenuto in una pubblicità televisiva, l'Ipad. Ma Jobs ha mantenuto il suo cool. E alla fine ha vinto. Non ha vinto però quando si è trattato di raccogliere i commenti degli altri bloggers. La stragrande maggioranza lo attaccava con violenza: per aver rimosso il software di Flash dai suoi programmi, per truffato sulle stock option (un capitolo ancora aperto che Jobs disconosce) e per rappresentare in generale quello che molti non vogliono, l'ordine contro il disordine. Jobs ha risposto per tutti a Gwaker proprio con una canzone di Bob Dylan «The times they are a-changin'»…«i tempi stanno cambiando».