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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2010 alle ore 08:03.
ROMA. «Non c'è alternativa al consolidamento dei conti pubblici e alla ripresa della crescita economica, che si fa con le riforme strutturali». Questa era stata la riflessione "a caldo" di Mario Draghi, subito dopo il cataclisma finanziario innescato dalla crisi greca e subito dopo la decisione da parte dei governi europei di varare la maxi rete di protezione da 750 miliardi di dollari.
Come Governatore della Banca d'Italia e presidente di quel Financial stability board che deve convincere i governi dei 20 paesi industrializzati e di nuova ricchezza a dar seguito fattivamente agli impegni presi per la riforma finanziaria globale, in quell'occasione aveva spiegato che ha poco senso definirsi ottimisti o pessimisti sul futuro, quando c'è un compito da portare a termine: quelle contro la speculazione, aveva detto, sono battaglie lunghe e vanno combattute.
Con ogni probabilità stamani, in occasione di quelle "Considerazioni finali" che per la quinta volta Draghi leggerà nel salone dei partecipanti di Palazzo Koch, sapremo perché era così urgente intervenire con un piano europeo che ha il suo punto di forza nella volontà di ciascun paese di intervenire con decisione per il risanamento della finanza pubblica,come ha fatto anche l'Italia, rafforzando al tempo stesso il governo europeo dell'economia con la riforma del patto di stabilità. E sapremo anche perché, senza un'azione programmatica sul terreno delle riforme che consenta di ridare spazio alla crescita economica, quella dura battaglia cominciata il 7 e l'8 maggio scorso non possa considerarsi definitivamente conclusa.
Di certo, infatti, nelle asciutte paginette che Draghi leggerà, non mancherà una ricostruzione delle difficoltà createsi sui mercati internazionali quando è balenato il rischio di una crisi valutaria e da debito pubblico in Eurolandia. I sintomi di una turbolenza forte come quella scoppiata dopo il caso Lehman infatti c'erano tutti: prosciugamenti della liquidità sulle scadenze più lunghe; forte rarefazione degli scambi sul mercato interbancario e sugli swap in valuta perché le banche americane avevano ridotto i prestiti in dollari all'Europa; problemi di liquidità per gli intermediari francesi e tedeschi, problemi di liquidità sul Mts; vendite consistenti di fondi obbligazionari; addirittura era stata avanzata l'ipotesi di un rischio di contagio al segmento delle assicurazioni.