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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 16:27.
Omicidio colposo. Questa l'accusa formulata dalla procura dell'Aquila ai membri della Commissione Grandi rischi che il 31 marzo scorso, 6 giorni prima del terremoto che sconvolse L'Aquila, parteciparono alla riunione che si tenne nel capoluogo abruzzese.
Tra gli indagati, sette persone in tutto, ci sono i vertici della Commissione grandi rischi e il vice capo del Dipartimento della Protezione civile, nell'ambito dell'inchiesta sulla mancata evacuazione della città prima del terremoto del 6 aprile 2009.
«I responsabili - ha commentato il procuratore della Repubblica dell'Aquila, Alfredo
Rossini - sono persone molto qualificate che avrebbero dovuto dare risposte diverse ai cittadini. Non si tratta di un mancato allarme, l'allarme era già venuto dalle scosse di terremoto. Si tratta del mancato avviso che bisognava andarsene dalle case».
L'avviso di chiusura indagini, condotte dalla squadra mobile dell'Aquila che ha inviato nei mesi scorsi un dossier alla procura in cui, tra l'altro, si parlava di «negligenze fatali», sarebbe in corso di notifica, secondo quanto si apprende, al professor Franco Barberi, presidente vicario della Commissione, al professor Enzo Boschi, presidente dell'Ingv, al vice capo del settore tecnico-operativo della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, al direttore del Centro nazionale terremoti Giulio Selvaggi, al direttore della fondazione "Eucentre" Gian Michele Calvi, all'ordinario di fisica terrestre dell'Università di Genova Claudio Eva, al direttore dell'ufficio rischio sismico del Dipartimento della Protezione Civile Mauro Dolce.
In serata la replica della Protezione civile. «Davvero non si comprende quale sia l'obiettivo della magistratura aquilana» nell'ambito dell'inchiesta che ha portato alla notifica della chiusura indagini per i membri della Commissione grandi rischi che il 31 marzo dell'anno scorso si riunirono a L'Aquila. Secondo il Dipartimento di cui è responsabile Guido Bertolaso «non può infatti che auspicarsi che l'operato della magistratura inquirente non sia diretto, come invece afferma il procuratore capo, ad un risultato conforme a ciò che la gente si aspetta». E questo perchè così facendo «si arriverebbe all'assurdo che la giustizia non persegue l'applicazione delle norme ma gli umori e i desideri di una parte della popolazione, seppur colpita da lutti e sofferenze enormi».