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La major paga di tasca propria

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 14:35.

Troppo grandi per assicurarsi. La Bp pagherà di tasca propria, in parte lo sta già facendo, i danni crescenti causati dall'esplosione della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico e dalla fuoriuscita di greggio dal pozzo petrolifero di cui è il maggiore azionista.
Su un ammontare di risarcimenti in continua crescita (almeno 14 miliardi di dollari) la quota a carico di assicuratori e riassicuratori è stimata in circa 1,4 miliardi, relativi non tanto ai danni ambientali per la grande chiazza di petrolio che si è creata quanto alla distruzione della stessa piattaforma, di proprietà della società Transocean. Tra le compagnie interessate c'è Swiss Re che nei giorni scorsi ha stimato tra i 300 ed i 600 milioni la sua esposizione nella vicenda. Più defilata, tra i grandi assicuratori, appare la posizione di Munich Re (200 milioni) mentre tra le compagnie dirette, l'amministratore delegato di Generali Giovanni Perissinotto ha escluso nei giorni scorsi qualunque coinvolgimento.

Il gap tra la stima delle perdite "assicurative" e di quelle totali si spiega appunto con il fatto che la compagnia inglese non è protetta da alcuna polizza per la scelta strategica di autoassicurare i rischi della propria attività. Non fa parte della mutua "Oil" costituita nel 1971 dalle imprese petrolifere mondiali per coprire i rischi property degli impianti e neppure è membro dell'altro consorzio "Ocil" formato dagli stessi soggetti per fornire di un ombrello assicurativo la responsabilità civile dei danni, soprattutto ambientali, cui l'industria è esposta.

La Bp - spiega la stessa società anche nell'ultimo bilancio societario – limita il ricorso all'assicurazione esterna laddove è richiesto dalle legislazioni locali. E questo perché l'acquisto di coperture «non è considerato un mezzo economico vantaggioso per finanziare le perdite del gruppo. Queste sono pertanto sopportate direttamente quando si verificano e non sono frazionate nei premi assicurativi con i concomitanti costi di transazione». Per la gestione dei sinistri il gruppo possiede (al 100%) un'assicurazione, la Jupiter insurance, con sede a Guernsey (un altro centro offshore, questa volta fiscale).

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Tags Correlati: Assicurazioni | Barack Obama | Economist | Giovanni Perissinotto | Golfo del Messico | Mary Landrieu | Ocil | Oil | Stati Uniti d'America | Swiss Re | Transocean

 

Una simile strategia assicurativa si giustifica con la fiducia che la società ha sempre riposto sulla capacità di far fronte ai propri rischi con l'elevato cashflow del suo business. Nel primo trimestre del 2010 Bp ha chiuso i conti in utile per 5,6 miliardi di dollari (+134% rispetto allo scorso anno). Ma potrebbe ora essere spinta a rivedere le sue scelte per la dimensione del disastro ambientale che si trova a gestire. I cui costi sono in continua crescita per la difficoltà di arginare la fuoriuscita del greggio dal pozzo sottomarino. All'inizio di maggio l'Economist stimava che Bp avrebbe dovuto sostenere un onere di circa 12 miliardi di dollari ma, a distanza di un mese, uno studio di Usb, citato dal Financial Times, ha fatto salire la bolletta fino a un massimo di 40 miliardi. Ma chi si presenterà all'incasso? In realtà la vera polizza di cui gode legalmente la compagnia britannica è l'Oil pollution act, la legge statunitense sui danni ambientali petroliferi varata nel 1990 subito dopo il naufragio della Exxon Valdez (37mila tonnellate di petrolio finite in mare con danni per 3,5 miliardi).

La normativa ha promosso una maggiore prevenzione per le catastrofi ma soprattutto ha limitato l'esposizione delle compagnie. Nel caso di una piattaforma come quella esplosa nel Golfo del Messico, il tetto ai risarcimento verso terzi è di appena 75 milioni. Nata per proteggere gli operatori Usa, la legge offre ora protezione anche nei confronti di quelli esteri.

Va precisato che Bp si è subito detta disponibile a pagare i danni «legittimi» collegati al disastro – finora ha già sostenuto oneri per oltre 900 milioni – e che il presidente Barack Obama ha rassicurato a più riprese l'opinione pubblica sul fatto che la compagnia rispetterà i suoi impegni. Ma, intanto, ha anche auspicato la rimozione del tetto ai risarcimenti. Non è detto, però, che l'iniziativa vada in porto. La lobby dei petrolieri è già in movimento. «Dobbiamo stare attenti prima di cambiare la legge – ha dichiarato il senatore democratico della Louisiana, Mary Landrieu – a non pregiudicare un'intera industria. Nel Golfo ci sono altri 4mila altri pozzi che devono andare avanti».

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