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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 17:51.
Silvio Berlusconi andrà veramente a difendere personalmente la manovra in Parlamento? Sarebbe una novità assoluta dai tempi di Giuliano Amato. Una novità che esprime insieme le preoccupazioni per l'impatto del decreto legge sulla sua popolarità e le tensioni con il ministro dell'economia. «Un conto sono i numeri, un conto la politica» avrebbe detto ieri il premier allo stato maggiore del Pdl, presente il titolare di via Venti Settembre.
Oggi, però, Berlusconi corregge il tiro e per frenare le voci sui dissensi interni alla maggioranza affida il suo pensiero ad una nota ufficiale: «Fuori dai giochi e dagli intrighi di palazzo, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti hanno lavorato insieme e continueranno a lavorare insieme legati, oltre che dall'impegno di Governo, da una leale ed antica amicizia personale». Nella stessa nota Berlusconi difende la manovra dicendosi «fermamente convinto di avere fatto la cosa giusta, nel tempo giusto, nell'interesse dell'Italia».
È tuttavia confermato che il premier non lascerà a Tremonti la parola per spiegare ai parlamentari e agli italiani il perché dei tagli. Deluso dalla debolezza con cui il suo ministro lo ha difeso dalle accuse di aver istigato all'evasione martedì sera a Ballarò, Berlusconi ora vuole le telecamere puntate dinanzi a sè per spiegare i piani contro chi non paga le tasse ma anche la strategia per rilanciare le imprese al sud e i tagli alle inefficienze.
E sempre in prima persona sta conducendo le trattative sulla riforma delle intercettazioni dopo che anche il capo dello Stato, ieri durante i festeggiamenti per il 2 giugno, gli ha chiesto una legge «accettabile per tutti». Tra qualche ora si riunirà la consulta giustizia del Pdl presieduta da Niccolò Ghedini ma l'ultima parola sulle modifiche ci sarà solo martedì prossimo. Poche ore prima che il testo torni in assemblea, il premier ha convocato un ufficio di presidenza del Pdl che dovrebbe stilare il testo definitivo, capace di ottenere il sì di entrambi i rami del Parlamento. Nei corridoi si parla di un compromesso possibile sull'allungamento della durata degli ascolti oltre i 75 giorni previsti al momento. Ma basterà questo "cedimento" a strappare il sì di Fini e dei suoi?